Possiamo considerare i viaggi di Vivian Maier quelli intrapresi per raggiungere la Francia, l’America Meridionale, l’Europa? Sarebbe riduttivo
Una donna, una macchina fotografica, tanti punti interrogativi
Noi la cerchiamo, Vivian Maier, ficcanasiamo nella sua vita, laddove vi è traccia di lei, curiosiamo perché tra tante donne famose lei è considerata di certo quella più misteriosa. Ma lo era davvero, misteriosa?
In realtà era una donna disturbata e questo la portava a scombinare la sua vita, a celarsi dietro nomi falsi, a fuggire da qualche episodio brutale o, più banalmente, da sé stessa.
Non le sarebbe servito viaggiare, prendere un treno, muoversi nel senso stretto del termine. Qualsiasi strada dietro l’angolo, per una fotografa che amava confondersi nel viavai metropolitano, poteva diventare un teatro a cielo aperto.
Per questo, i mille caratteri a cui ha saputo rubare un gesto, sono oggi immortali.
Ciò che sorprende di Vivian Maier è che tutto quel gran viaggiare con gli occhi, la macchina fotografica lo fermava, ma le mani lo nascondevano.
Istantanee ai margini
La rolleiflex, questo strumento antico che permetteva di fotografare senza che si decifrasse la direzione dello sguardo, era la sua compagna e custode.
China sopra il mirino nascondeva l’interesse per le persone ritratte, un interesse, però, piuttosto morboso.
Raccontava ogni frammento di vita di sfuggita perché, ogni episodio, succedeva senza preavviso, ma lei lo coglieva, come se fosse preparata. E pur carpendo uno stato d’animo fugace, le sue, erano istantanee spesso brutali, forse perché era allenata a riconoscere il dolore sul volto delle persone.
Una sofferenza viva che arrivava da qualche punto oscuro della sua adolescenza o da quello insanabile della sua psiche.
Tutto ciò che vide e riuscì a fermare con la Rolleiflex rimase ammucchiato, dimenticato, nascosto. Vivian Maier accumulò circa centocinquantamila negativi, tremila pellicole e centinaia di film, appunti e registrazioni che mai stampò, pubblicò e, soprattutto, mai vide con i suoi occhi.
Vivian Maier all’Asta
Quel patrimonio di sguardi, inestimabile, finì -prima della sua morte- in una scatola che poi fu battuta all’asta.
E , proprio durante lo svolgersi di questa asta, l’intero pacchetto venne aggiudicato a John Maloof.
Egli era un amante della storia nonché promotore di un progetto sui sobborghi di Chicago che, riteneva, un territorio pieno di bellezze ma -ignorato- per non conoscenza dei luoghi.
Maloof fu attratto da quel titolo scritto sulla scatola “scatti su Chicago” nel quale intravide del possibile materiale da utilizzare per il suo progetto.
Ma, quando il contenuto venne sbollato, vi trovò dentro qualcosa che andava oltre la riqualificazione di un luogo.
Era il viaggio di una donna, un occhio attento verso l’emarginazione . Era il punto di vista unico e ossessivo di Vivian Maier che non era una fotografa di professione ma una bambinaia, una donna con tanti lati oscuri e che non avrebbe mai saputo di avere un talento.
Ciò che si consumava nelle strade, dai drammi alle situazioni più grottesche, lei era riuscita a toccarle, entrarci, senza -probabilmente- essere vista.
C’è qualcosa che viaggia più di uno sguardo? Nel caso di Vivian Maier proprio no.
Penso che l’aggettivo che le si addica di più sia: costanza. Era una persona che si ritagliò ogni giorno, tutti i giorni, uno spazio per scattare fotografie. Non mancava mai il suo appuntamento con la strada.
Questo è il lato di lei che mi ha affascinato di più. A suo modo ha fatto ciò che molti di noi non fanno, dedicarsi a sé stessa.
Probabilmente non si può comprendere fino in fondo cosa la muovesse, quali fossero i suoi pensieri, chi era stata, se era stata una brava persona. Ma ad oggi, senza prove certe, non è importante saperlo.
Ognuno di noi ha dentro un mondo: affettivo, anaffettivo, chiaro, scuro, lei lo ha tradotto in immagini che hanno molto a che fare con chi era, probabilmente.
Pareri contrastanti ma finalmente possibili
Purtroppo, per molti anni, l’intero acquisto -fatto da Maloof– rimase bloccato: l’unico parente, pare lontanissimo, della Maier -rintracciato e messo a conoscenza della grande rarità andata all’asta- avviò una causa per riavere la proprietà intellettuale dell’opera.
Oggi, quel viaggiare con lo sguardo, è sotto gli occhi di tutti. A qualcuno piace il suo lavoro, ad altri meno.
Io trovo che i momenti irripetibili, che questa donna introversa ci ha raccontati con il mezzo della macchina fotografica, abbiano un loro fascino, una loro misura, come se fossero pensati, più che visti.
Come se li avesse cercati prima che accadessero. Poi chi sia stata è affar suo, della sua coscienza. A noi resta un viaggio prezioso, di cui tenere conto.
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.
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