Viaggiare è una cura
Il viaggio in Istria non era così scontato come pensavo. In effetti quando si parte, per quanto si studino le mete, si prenotino gli hotels, si cerchino segreti e storie da svelare, non si è mai pronti a “vendemmiarne” il raccolto.
Siamo fatti davvero di polvere di stelle.
Il tempo che ci è stato sottratto dalla pandemia è un tempo che non ha avuto modo di esistere né di essere riscattato. Lo abbiamo perso ed ha lasciato dietro uno strascico di paure, vuoti, quasi non abbiamo più desideri, idee, giorni da contare.
E, come se non bastasse, ci sono i periodi brutti a renderti amaro il cammino. A tenerti lì, buona, a sopportare tutto. Dolore, angoscia, malessere. E se glielo lasci fare, il periodo brutto ti annienta.
Ma c’è questa necessità primaria che si chiama viaggio. Viaggiare ci rende indietro il tempo, segna un confine netto tra il presente e un tempo destinato ad essere ricordo. E sono proprio quelli i ricordi che preferiamo, perché lasciano un’essenza di bellezza in noi.
Non so come si possa vivere senza viaggiare. È il ricambio del sangue, oltre che dell’aria e degli occhi. È un combustibile potente, il più deflagrante al mondo. Ti esplode dentro e pur lasciando indietro il dolore, aiuta a cicatrizzare le ferite che ancora sanguinano.
Il viaggio in Istria una sorpresa
Il Viaggio in Istria è capitato in un momento così: pieno di buche. E mi ha presentato davanti un potpourri di ulivi e viti, un cielo aperto, una luce divinatoria.
Quell’Istria lì -che è stata italiana, che ha combattuto per mantenere vivo l’italiano nelle scuole e che è quasi più nazionalista di noi- mi si è mostrata nuda.
Il primo colpo d’occhio davanti a un campanile che affacciava su un paesaggio indefinibile: lì, ho capito subito che sarebbe stato un continuo sorprendersi.
E credimi, lasciarsi sorprendere, è ancora una delle più grandi rivoluzioni che l’uomo dovrebbe compiere almeno una volta al giorno per sentirsi vivo.
Se sei su quella strada in cui la vita non ti sorprende più torna indietro e cambia direzione.
Cos’è vivere senza sorpresa? Senza quell’espressione sognante che ci si stampa sul viso, quella bocca spalancata che ci fa sembrare stupidi, quegli occhi rapiti da una forza aliena, quel cuore che batte forte ed emoziona l’animo.
Il viaggio in Istria è stata pura sorpresa. Possiede luoghi che non ti aspetti esistano e che escono fuori da un tempo parallelo e antico. Anzi, no, sei tu ad entrare nella macchina del tempo e a desiderare di restarci perché in quel micro cosmo ritrovi un’atmosfera amica, le famose origini. E anche il mare. Rovigno merita ad esempio la sua fama, è la città più bella di tutte, quella che mi ha curata.
Un passato prezioso
È speciale l’Istria croata. Sono speciali le città. Rovigno, Parenzo, Albona, Pola, Montona che come tutto in Istria conservano ambo i nomi, quello italiano e quello istriano, diventando: Rovinj, Poreč, Labin, Pula, Motovun.
Ero già stata in Croazia ma nella parte dalmata, che è completamente diversa dalla Croazia del nord. L’Istria in questo contesto è un corpo estraneo, probabilmente la lunghissima permanenza veneziana ha dato un’impronta tipicamente italiana ai luoghi e alle persone. Ma allo stesso tempo, non essere stata sotto l’egida italiana, le ha regalato un elisir di giovinezza.
Questo essere non essere territorio di qualcuno l’ha resa più indipendente, una terra che preserva la terra, una popolazione votata ai mestieri di una volta, un piccolo mondo a sé stante ricco di bellezze iconiche.
Sarà travolta a gennaio dall’entrata dell’euro ma spero vivamente che quel popolo tenace saprà proteggere la terra come ha fatto finora. Non vorrei tornarci tra qualche anno e trovarmi di fronte a uno scenario apocalittico di cementificazioni selvagge e muri alti che bloccano il cielo.
Il bello dell’Istria
L’Istria oggi ti racconta la Natura attraverso i suoi fiumi, che scorrono per chilometri senza ingombri di cemento; ti fa entrare nella sua storia accogliendoti in quelle città che sono state appannaggio di celti, romani, slavi, francesi, austriaci, turchi e tedeschi. Ti porta a spasso nella ruralità delle sue campagne, tra muretti a secco e produttori di olio e di vino. Non ci sono veri confini se non quelli inventati dal potere politico.
Gli istriani croati si sentono italiani ma si sentono anche internazionali. Lo dimostrano aprendoti la porta di casa, spiegandoti le vicissitudini storiche, condividendo un dolce o un bicchiere di vino, vivendo anche altrove ma col cuore in Istria.
Un viaggio che non ti fa pensare a null’altro se non alla magia dei posti. E poi a settembre non c’è molto turismo e la godibilità dei centri storici diventa un’esperienza surreale. Una parentesi in questo anno difficile.
In Istria ho riscoperto il silenzio effimero che soffia tra le vie, che respira dentro una chiesa, che è negli occhi dei gatti di strada, tra i solchi perfetti arati dall’uomo. Un silenzio di carta. Che nelle orecchie assume il suono di una piuma che ondeggia nell’aria.
Il suono del silenzio più forte l’ho sentito a Pedena, un suono di pareti cadute, stanze di nessuno che la natura si è ripresa.
Il lato negativo di tutti i miei viaggi
Ho amato i piccoli borghi di Pićan (Pedena), Gračišće (Gallignana), Vodnjan (Dignano), Bale Valle (Valle) e Svetvinčenat (Sanvincenti). In ognuno ho lasciato un pezzetto di cuore mentre a Sanvincenti, purtroppo, ho lasciato un gattino malandato che mi aveva probabilmente scelta per accudirlo. Non so descrivere gli strappi come questo quando mi capitano.
Vedere gli animali che soffrono per colpa degli uomini e non poterli aiutare è come una condanna a morte. Non ci dormo e il cuore non si abituerà mai a sopportare il rumore dei loro occhi.
Ogni volta che viaggio trovo qualche animale bisognoso d’amore o qualche animale sottomesso che non ha scampo e vive una vita tra le sbarre. Spero sempre che chi infligge dolore a un animale lo risconti cento volte. Non potrò salvarli tutti ma maledire chi li condanna agli stenti, sì, quello posso farlo.
il viaggio in Istria: dai paesaggi al caffè
Il viaggio in Istria è stata una scoperta continua e mai come in questo momento avevo bisogno di afferrare quella leggerezza che si annida in vacanza. Tra paesaggi remoti, pini altissimi, porte signorili, vie lastricate, konobe con menù deliziosi, grappoli pendenti di uva, le cime degli ulivi inebriate d’argento. E poi come una nota d’incanto sentire forte l’odore salato del mare vicino ai porticcioli, e quello del tartufo tra le colline. Ho sentito rimbombarmi dentro ogni richiamo, l’ho respirato e trattenuto appieno. Sono salita sui campanili per abbracciare il mondo dall’alto e scesa sotto terra per percorrere le vie dei minatori al tempo di Tito.
Ho amato perfino il caffè istriano. Morbido, cremoso. E se chiedi che marca usano ti rispondono ovviamente “italiana!”, ma dai nomi mai sentiti in Italia, tipo Julius. Ma garantisco più buona del nostro espresso.
Ti sarà capitato di tornare da un viaggio e non vedere l’ora di mettere su la moka, sentire quell’italianità che ci scorre nelle vene salire insieme all’aroma.
Stavolta non ero in astinenza da caffeina, però. Non ho potuto esclamare come sempre “non vedo l’ora di bermi un caffè”.
Gli istriani non mi hanno fatto mancare niente. E nell’olio e nel vino che mi sono riportata a casa li ho ritrovati.
Le vie dell’olio e del vino istriane
Quando entri in una delle tante vie del vino e dell’olio finisci col perdere quel po’ di rotta che avevi. Non ti ubriachi per un bicchiere in più, ti ubriachi perché il sapore dell’olio è perfetto, pizzica la gola e sale nelle narici con una forza violenta; e il sapore del Terrano e della Malvasia ti lasciano in bocca una spremuta d’uve nere e bianche più che la potente gradazione alcoolica.
E’ così che abbiamo incontrato Vlado e i fratelli Benvenuti. Da una parte l’esperienza di un olivicoltore che ha vissuto cento vite e ama raccontarle, e dall’altra la terza generazione di un’azienda vitivinicola che porta avanti con rispetto e passione il lavoro iniziato dal nonno.
Li avrò sempre nel cuore. Vlado con quella cascata di foglie di vite davanti alla porta della cantina, le foto dei visitatori custodite scrupolosamente in un album e i diplomi e premi appesi alle pareti; i fratelli Benvenuti per la solarità con cui ci hanno accolte, per quella cantina caravaggesca e per la figura di Ana, una ragazza simpaticissima che ci ha fatto da cicerone.
Quando ho stappato il Terrano dei Benvenuti e condito una fetta di pane con l’olio Cesar gli odori mi hanno riportato laggiù, tra i filari di vite e gli ulivi selvaggi, in quella via, nel verde, e davanti a una chiesola di campagna col campanile longilineo. Mi ricordo di aver alzato lo sguardo verso il cielo e aver ringraziato le persone a me care, che non ci sono più ma che mi seguono sempre, e in viaggio di più.
Tre momenti del viaggio in Istria che non dimenticherò
Tra i momenti più intensi sicuramente quando ho trovato i Fiori di Luna di nonna Lucia nella Chiesa di San Antonio da Padova a Pola, una sorpresa inaspettata. Sono entrata come telecomandata, non era tra le tappe, eravamo di corsa. Saremmo passate dritte se non fossi stata attratta da altri fiori lungo il muro di cinta. Puoi immaginare la sorpresa quando mi sono voltata. Sembrava fossero lì per aspettare solo me.
Poi non è mancata la visita che ti sconvolge la vita: la Basilica Eufrasiana a Parenzo è il simbolo di un mondo sommerso, di una piccola città segreta. Mi ha fatto lo stesso effetto delle Tombe Saadite che vidi a Marrakech, di un qualcosa di privato che si svela, e nello svelarsi ti consegna un tesoro inaudito.
Il terzo brivido me l’ha dato la città di Labin che è un tesoro diffuso, ogni angolo ne svela dieci, ogni porta ne apre cento.
Le piccole cose
Ci sono elementi in viaggio che mi balzano agli occhi o che forse vedo solo perché fotografo ma quando li noto non posso fare a meno di respirare in modo diverso.
In questo viaggio mi è capitato una sola volta, mentre salivamo per raggiungere il borgo di Pedena. Ci siamo fermate a osservare il paesaggio, le montagne erano bluastre e proprio laggiù, lontanissimo ho notato un piccolo campanile in cima a una collina.
Nulla di sorprendente, strano o wow. Però i miei occhi erano quasi pieni di pianto, senza un motivo. La foto credo renda il mio stato d’animo, una di quelle fotografie della vita da cui, sai già, che non ti separerai più.
Che disastro!
Pian piano ti racconterò tappa per tappa la mia avventura, per ora mi limito a concludere questa introduzione con una parola che mi è rimasta impressa “catastrof”.
Qualsiasi argomento generi panico, rabbia, incredulità, l’istriano lo sintetizza così “catastrof”. Equivale al nostro “che disastro!”.
Seppure ha un’accezione negativa, il modo simpatico che hanno di dirlo, mi fa sorridere. Gli danno peso ma non così tanto. È una denuncia ma poi si fanno da parte. È una catastrofe ma non come una guerra.
Ne hanno viste troppe e hanno perso troppe vite per prendersi sul serio. E allora “catastrof” dice tutto e non dice niente. Ma io l’ho amata questa parola, non vedevo l’ora di sentirla ripetere da qualcuno.
Grazie Istria per avermi saziata. E grazie alla mia amica Italia che mi ha proposto questo viaggio!
Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.