Tozeur è un pezzetto di cuore di Ursula, un luogo che tutti vorremmo visitare, entrarci di diritto, perché traccia nello stomaco un ricordo che non si dimentica
Terre sconfinate
Il deserto racchiuso tra Tozeur e Ksar Ghilane è una lunga camminata tra la sabbia e il vento, due elementi durissimi con cui sono entrata in stretta intimità, fino a percepirli come parte della pelle.
Non la definirei una vacanza ma un’esperienza di vita proprio perché si crea un legame incredibile con la terra, con il suo ruvido manto, questa superficie senza padroni che appare secca al tatto e poi trovi un fattore che non ti aspetti: l’acqua.
Da Tunisi sono scesa verso sud, in direzione di Sidi Bouzid, quel territorio che un tempo era tra i più aridi per la scarsità di piogge e che, oggi, grazie a un progetto di irrigazione, prolifera di grano e orzo, accoglie greggi di pecore e regge la sua economia sul condotto di petrolio e sui prodotti agricoli.
Quando si dice Oasi si dice Tozeur
In mezzo c’è al-Qayrawan, la terza città sacra dopo la Medina e la Mecca, un luogo di riposo come suggerisce il suo nome. Tra le cupole bianche -che alludono ai grandi maestri del corano passati di lì-, la Grande Moschea di Uqba -che le ha valso l’Unesco– e i serbatoi d’acqua aghlabidi –che formano un’opera di architettura idrica di grande maestria araba, rarissima in questi territori battuti dal sole-.
È percorrendo questo territorio verticale che si arriva a Tozeur, tra le montagne dell’Atlante e il Sahara.
Qui ho iniziato a lasciare pezzetti di cuore. Innanzitutto si sente scorrere l’acqua e non è un fatto così ordinario. Una fitta rete di canali, creati nel XII secolo, hanno garantito al Palmeto, tra i più grandi al mondo, di sopravvivere alla siccità, di espandersi, di avere cura dei datteri, uno dei prodotti di qualità di quest’area.
Ci si può abbandonare all’ombra delle palme o assaggiare i datteri -in tutte le sue varianti- nell’Eden Palm, un museo esperenziale che approfondisce e valorizza l’intera Oasi; si può visitare la parte vecchia, si possono scoprire aspetti di questa città davvero enigmatici, tipo i vicoli, minimali e silenziosi, vuoti nella loro percorrenza, nati dalla sabbia; oppure le facciate delle case, le cui geometrie artistiche, ben studiate, creano un bel contrasto con l’argilla, un materiale propriamente povero; oppure ancora si può raggiungere la famosa Stazione, cantata da Battiato in “I treni di Tozeur”, intrisa di silenzi assordanti, di un senso di abbandono drammatico, uno stato di fissità spezzato solo da qualche treno effimero.
In una vecchia miniera distese di sale | E un ricordo di me, come un incantesimo. E per un istante ritorna la voglia di vivere | A un’altra velocità …Passano ancora lenti i treni per Tozeur”
-Battiato-
Simboli del deserto
Al di là del Palmeto, il verde non esiste più, ci sono solo le increspature della sabbia, per chilometri, a fare da scenario e un giallo irriverente che si irradia come fosse l’unico colore possibile. Si va verso Douz, un piccolissimo villaggio di nomadi, anticamente tra le più importanti soste per carovanieri. E qui si incontrano gruppi che sellano dromedari o si vedono volare le mongolfiere; c’è un mercato fiorente che vende le rose del deserto ma anche la sabbia nera;c’è uno scorrere delle cose quasi irreale, un’atmosfera da Lampada di Aladino.
Quando il deserto incontra lo scirocco
Come un tempo le carovane, anche io percorro quella rotta che porta dritta a Chott el Jerid, il deserto bianco della Tunisia, soggetto a mille trasformazioni.
Assisto affascinata alla Fata Morgana, l’interferenza ottica poco sopra l’orizzonte che genera una sorta di miraggio, di maliarda allucinazione, resto sospesa come il miraggio, due metri sopra la sabbia, dieci metri sotto il cielo, gli occhi vittime di uno scirocco beffardo.
E l’incantesimo lo fa questo spettacolare lago, el Jarid, specchio d’acqua e poi distesa di sale, collettore di colori e poi gelido cristallo.
È un luogo dall’umore instabile, in cui ogni emozione resta sospesa come i miraggi. Varia a seconda delle temperature, dell’acqua e del vento che lo coprono, lo scoprono, lo fanno evaporare, lo ricoprono di sabbia e poi gli tirano via una sfumatura dopo l’altra fino a farlo tornare sale.
Stando al cospetto di quella Natura senza troppi fronzoli, ma strabiliante, ho sentito di essere davvero nella terra di nessuno, là dove sono passati i viandanti di ogni dove e io, passando, ho trovato un’immobilità rara pur avendo assistito a una caparbia mutevolezza dell’aria.
A un passo da Tozeur gli eventi storici
Altra storia è Ksar Ghilane, l’ultima Oasi prima di entrare nel Grande Erg Orientale, uno dei terreni di battaglia vittoriosi nella famosa Campagna di Tunisia.
La Colonna bianca del Generale Leclerc, che spunta un chilometro prima di arrivare alle porte del Deserto, non è solo il punto di riferimento su una mappa ma la bandiera che contrassegna un luogo in cui un importante episodio storico si è svolto. Fa strano passare vicino a una colonna circondata solo dalla sabbia, fa pensare che ci sia stata una civiltà e che poi questa sia scomparsa lasciando solo strati di polvere.
Invece si scopre che qui vivono ancora le famiglie rurali, attivissime nel commercio delle palme, nell’allevamento di pecore e capre, e anche nel settore turistico che -sempre di più- opta per mete in cui la pace e il relax sono all’ordine del giorno così come l’esperienza di salire su un cammello o guidare un quad in pieno deserto.
E è facile trovare tutto questo a Ksar Ghilane. C’è perfino una sorgente di acqua calda in cui bagnarsi e beneficiare delle proprietà termali che offre. Starsene “commercialmente” intinti nella pozza d’acqua e pensare al nulla.
Ma si può anche andare a caccia di storia. Ksar è una parola che in arabo significa castello, ciò lascia presupporre da subito che ne sia esistito uno. E in effetti se ne ritrova traccia all’interno dell’avamposto di Tisavar dove sono ancora visibili le rovine del Limes Tripolitanus, una zona di frontiera romana che proteggeva il commercio e anche le rotte carovaniere.
E alla fine il campo berbero
Da qui ho proseguito su un fuoristrada 4×4 fino al campo berbero. L’emozione sale tantissimo percorrendo una terra senza alcun accessorio, il cui spirito libero si inala a pieni polmoni. Potevo essere la protagonista di un Tè nel Deserto tanto le immagini che mi scorrevano ai lati, che abbracciavo davanti e lasciavo indietro, erano vere, fedeli al ritratto che ne era stato fatto nel film.
Il campo tendato comparve mentre stava per scendere il tramonto e i miei mille pensieri sparsi si ricomponevano per affrontare quella che sarebbe stata una serata di grandi magie.
Qualche passo sulle dune, la sensazione morbida del Sahara che ti accarezza lo stomaco e sale fino agli occhi. Nessun miraggio ora, i colori amaranto si distendono e inizia a oscurarsi tutto. In alto, la notte cuce le stelle, che diventano immense e la luna appare come mai l’avevo vista prima, sembra un lampadario appeso in una stanza.
Il freddo sale a raggelare la terra e anche i corpi. Però non l’ho sentito, era stato talmente bello quel capodanno con i balli, la cena tunisina, i ritmi lontani dei tamburi da sentirmi cullata e protetta. Viva nel sonno.
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.