Il gruppo gipsy jazz Les Petits Papiers ha portato sul palco di Formello la Francia degli anni 20-40 e i valzer della tradizione manouche, ma da dove parte il loro stile?
Jazz Manouche
Les Petits Papiers, si nota subito sul palco, non hanno tra gli strumenti la Batteria ma due chitarre Manouche. Queste sono in grado di sostenere, con un ritmo tutto loro, l’accompagnamento agli altri strumenti a corda. Entriamo così nel cosiddetto stile Pompe Manouche.
Che è coinvolgente, fa balzare in aria la delicatezza del jazz, lo swing americano e la tradizione tzigana (o zingara) restando incollato alla canzone francese.
Una pasta di suoni che si trascina dietro un vissuto, non solo francese ma anche ungherese, una melodia consumata, unica, che ci riporta a un personaggio unico, Jean-Baptiste Reinhardt, conosciuto come Django.
Federica di Stefano che ha fondato Les Petits Papiers e che, mi racconta, ha avuto difficoltà a trovare gli elementi, si sente follemente ispirata da questo artista anticonvenzionale. Gli occhi le brillano mentre ne parla.
“Bisogna pensare che Django Reinhardt aveva l’atteggiamento tipico dei rom, non voleva diventare famoso attraverso la musica, voleva che la musica fosse, solo, puro divertimento. Quando Duke Ellington lo invitò a suonare nella più grande orchestra swing americana, lui si trovò evidentemente fuori posto. Lasciò un solco, ovunque passò: si presentò senza chitarra, non rispettò mai gli orari, dormì in macchina e rovinò quella collaborazione che, allora, sarebbe stata preziosa per chiunque. Nel mondo dove il jazz era nato.
Ma, a suo modo di vedere, l’identità non fu compromessa e, allo stesso modo, aveva potuto sentire l’influsso di quella musica tanto raffinata quanto seducente che era il Jazz.
Tornato a casa la reinterpretò, fece crescere un jazz mai ascoltato prima attraverso incredibili assoli di chitarra. Gli assoli di chitarra prima di lui non esistevano. E creò così i Quintette du Hot Club de France, un gruppo di soli strumenti a corda che avrebbero però suonato una musica nata per gli ottoni e per la batteria. Questo fu decisivo.
I Signori francesi ascoltavano e acquistavano il suo jazz, l’Europa dell’est cominciò ad ascoltare e acquistare il suo jazz. Lui divenne un jazzista raro, non un accademico ma uno che sapeva estrarre dal petto le emozioni”
Il Gipsy Manouche de Les Petits Papiers si ispira proprio a questa storia. Federica mi racconta che la musica balcanica non è stata predominante durante il Formello Jazz Festival ma che di solito, nei concerti privati, è la regina del palco.
E, quando si suonano pezzi di quella dimensione, di quel carattere, la cosa più naturale è quella di raccontare -attraverso i suoni- il viaggio nomade. Il fatto ad esempio che -ovunque si stanzino-, i rom, cambino nome per amalgamarsi alla popolazione, la dice lunga sul loro modo di porsi. Che non è quindi, quello di chiusura, come spesso capita di pensare.
Cambia solo il modo di interpretare la parola integrazione. Per noi equivale a stare dentro le regole di un posto, prendere le abitudini del posto e, all’occorrenza, pensarla come la gente del posto. Per i Rom è stare in un luogo e tra le persone che ne fanno parte, rimescolando tutto, perfino il loro nome e cognome. Attraverso il proprio stile hanno necessità di restituire, ciò che apprendono, sotto una forma artistica”
La differenza tra una società che si voglia chiamare moderna e i nomadi è un po’ questa, la visione delle cose. Un disequilibrio che ha creato le famose distanze, l’inquietudine. Una pena sofferta anche da un mito come Django Reinhardt che, però, è stato in qualche modo sopraffatto dalla musica e dalla vena furiosa che gli si infiammava dentro.
Un affare dunque che riguarda i rapporti sociali ma non quelli musicali.
Federica ha definito il modo di stanziarsi dei rom:
come uno strascico di reti in mare che porta con sé la sapienza di pescare ma anche tutto ciò che le reti pescano in mezzo”
E, a me, questa metafora piace molto. Perché in fondo ci rappresenta un po’ tutti, non solo i rom.
Quindi trovo sempre strano quando si canta un pezzo nato dalla tradizione gipsy, con trasporto, applaudendo tutto, anche l’origine, e poi se ne denigri il popolo. Lo stesso si potrebbe dire per il gioco del calcio. Le tifoserie osannano i calciatori di colore che appartengono alla propria squadra ma cantano cori razzisti contro i membri della squadra rivale.
La musica fa sempre nascere tante contraddizioni, per fortuna.
Grazie ai musicisti: NICOLA PAPARUSSO (chitarra manouche); RICCARDO BISCETTI (chitarra manouche); GIOVANNI D’ERAMO (contrabbasso); DANILO DI PAOLONICOLA (fisarmonica)
ALCUNE FOTOGRAFIE DEL CONCERTO
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.