La Mola di Formello appare stanca, si specchia e non riconosce più il suo ruolo ma -nonostante questo- rimane a fare da cornice ai fotografi
Dove scorre l’acqua
Alla Mola di Formello tutto ha un senso quando piove e l’acqua torna a scorrere allegra. Sembra che qui tutto si rigeneri, tutto diventi colore, leggerezza.
Per voler bene a un posto bisogna che l’acqua ti ci porti.
Non è di certo una regola ma a me è capitato spesso che i posti, con il corso di un fiume, mi abbiano fatto sentire guidata. Ma non per andare dove mi pareva, piuttosto, per essere condotta dove volevano loro.
Per voler bene a un posto bisogna esserci nato, averlo visto cambiare, averlo toccato, camminato, lasciato scorrere sotto pelle.
Sembra che da qui tutto sia migliore: saranno gli sguardi di falchi, cinghiali, volpi, della Salamandrina dagli occhiali; saranno le gesta di questi alberi, che rubano il mestiere ai pittori, o la riflessione di qualche poeta o lo scatto di qualche fotografo, ma qui, il silenzio è davvero diverso.
Mi accompagna solo l’acqua del Crèmera, col suo scroscio semplice.
Dove scorrono i rifiuti
Per voler bene a un posto bisogna rispettarlo, camminare sulla superficie senza danneggiarne le vite che vi abitano.
Invece è facile trovare rifiuti, materiali galleggianti, inquinamento da scarichi, fossi colmi di immondizia, buste trascinate ovunque dall’acqua. Perché qualcuno le ha lasciate incustodite sul prato.
È difficile per me pensare che si possa inquinare un luogo che abbiamo scelto per rilassarci: se lo abbiamo scelto è perché ci è piaciuto molto. Vuoi per il silenzio, vuoi per il verde, vuoi per il sole, ma non credo ci potrebbe piacere di starcene sdraiati in mezzo a un campo di rifiuti o guardare passare un torrente di plastica.
Per voler bene a un posto bisogna sentirsi abitato dalla sua bellezza e allora lasciamogliela questa bellezza, non deturpiamo i nostri luoghi naturali, c’è così tanto da imparare da loro.
La Mola di Formello è un luogo in decadenza
Il torrente porta con sé i ricordi, la bellezza, la bruttezza, ciò che abbandoniamo. Fino alla cascata e poi oltre.
La Cascata della Mola di Formello cade distrattamente su un lembo di terra umida e rocce, a guardarla dall’alto si sente il rumore di tutto ciò che ha raccolto. Se la si guarda da sotto, quel rumore sembra scomparire.
Il Mulino, un tempo, era ritrovo dei nostri antenati; oggi, sembra volersi solo aggrappare al presente attraverso il vecchio ponte, come a gridare per la sua sopravvivenza. Rifiuti e abbandono si incontrano in questa sacca del torrente. Che pure ha una sua malinconica bellezza.
Gli alberi pitturati, i riflessi dell’acqua sull’acqua, i rovi che mettono confusione e le vecchie macine sparse come in una caccia al tesoro … tutto gioca a incantare e intanto l’ischeletrimento avanza.
Alla fine della Valle del Sorbo, la Mola di Formello se ne sta taciturna, mentre noi ci camminiamo intorno, la fotografiamo, cerchiamo di catturare la sua decadenza.
La Mola di Formello verso il futuro
Sarebbe coraggioso lottare per quel rudere rosicchiato, custodirlo, lasciare che -chi ci sarà dopo di noi- possa goderne. Invece sta marcendo su sé stesso, confezionato da spine e vegetazione indecorosa, oltre che dalla sporcizia che gli arriva addosso. Insomma, si specchia nel Crèmera ogni giorno più vecchio e fatiscente.
Per volere bene a un posto bisogna valorizzarlo, guardarlo cercando una chiave moderna che lo salvi dalla fine. Bisogna avere sogni da regalargli e progetti da realizzarci dentro.
L’ex-presidente della BCC di Formello, Gino Polidori, aveva acceso un faro, a tal proposito, lanciando l’idea che si potesse riconvertirlo a centro culturale per ragazzi, una sorta di spazio polifunzionale.
Scriveva nel suo libro –Quel Mulino sul Crèmera–
Le murature di pietra, aggrappate allo sperone di roccia nel cui ventre mulinavano gli ingranaggi, apparivano come una piccola isola sempre in lotta con le intemperie per non essere trascinata verso valle”
… e, la Mola di Formello, è proprio questo, un luogo fragilissimo ma ancora recuperabile.
Diamogli una seconda vita
Il farinoso corpo della struttura provoca affetto, si vorrebbe sorreggerlo, mettere ponteggi, ripulirlo, renderlo di nuovo utile alla comunità.
Perché anche le storie dei mugnai e le voci che vi hanno ruotato intorno, sopravvivano al tempo. Perché viviamo nell’epoca del riciclo, del “dare una seconda vita alle cose”.
E, oggi, regalare il futuro a un luogo significa recuperare il vecchio e costruire un ponte con il nuovo, con le innovazioni.
Io lo vedo come spazio culturale in mezzo al verde. Vedo una sala di lettura, sento la musica che suona con l’acqua, assisto alla tecnologia che rimette in moto le macine. Leggo i progetti di tanti ragazzi che prendono vita da qui, da dove i bisnonni macinavano il grano.
Io lo vedo il ciclo della vita, il cerchio delle nostre vite.
Sarebbe bello sapere di aver fatto di più per un luogo a cui si vuole bene.
LEGGI LA STORIA DELLE PORTE FUTURISTICHE NELLA VALLE DEL SORBO
OPPURE GUARDA LA GALLERY FOTOGRAFICA DEGLI ALBERI DEL CREMERA
LEGGI IL RACCONTO IN CUI PARLO DELLA SORGENTE DEL CREMERA
Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.