Jeanne Hébuterne è un’altra donna enigmatica di cui sappiamo pochissime cose, è solo grazie a una retrospettiva postuma che se ne è riconosciuto il talento artistico
La nascita di una musa
La Jeanne Hébuterne di Modì era il simbolo della fascinazione: leggiadra, un diamante dalle linee trasparenti, gli occhi evaporati, una divinazione che nulla aveva in comune con la donna che posava per lui.
Un’icona sacerdotale, una bellezza piena di astrazioni. Un volto esangue che, già quando posava per il pittore giapponese, Tsuguharu Foujita, le era valso l’appellativo sensuale di “Noce di Cocco”.
Una figura, di facciata, ben lontana da tutte quelle che ha vestito nel privato. Quasi surreale e che, forse, viveva solo nei quadri di Amedeo Modigliani, perché lui stesso ne aveva fatto la proiezione del suo sogno onirico.
Jeanne Hébuterne allo specchio
Prima di incontrarlo, non era stata una donna senza luogo e senza tempo, si era imposta in una società gestita da soli uomini. Introdotta negli ambienti intellettuali di Montparnasse, dal fratello André, era stata ammessa nell’Accademia Colarossi per propri meriti artistici.
La Jeanne Hèbuterne di Jeanne Hébuterne era una pittrice dal tratto marcato e sicuro, e lì -dentro i suoi autoritratti- cogliamo il suo broncio, piuttosto che la delicata bellezza; gli occhi saturi, malinconici, piuttosto che la trasparenza regalatale da Modigliani.
C’era in lei uno spessore triste, non la vacuità. Era dunque quella la vera Hèbuterne, o una terza, o una quarta interpretazione di sé?
“La suicida”, uno degli acquerelli della sua produzione, evoca un dramma autolesivo e la sua tragedia ci colpisce in faccia. La curva di quel corpo esile non nasconde il contorcersi della sua anima, della sua salute interiore. Un quadro che sembra avere un filo diretto con la triste fine, un disegno che -senza volerlo- leggeva un futuro non troppo distante.
Un presagio negli occhi di Modì
Modigliani incontra una sola volta questa “Jeanne” sofferente, e la rappresenta nel suo ultimo quadro, prima di morire.
Ciò che colpisce, di questa nuova visione dell’amata e fedele compagna, è la torsione del corpo di Jeanne, incinta, che ci lascia negli occhi lo stesso raccapricciante sentimento dei suoi autoritratti, in cui più volte abbiamo potuto leggere l’atroce pensiero. E qui, per la prima volta sembra che i loro sguardi coincidano. Sembra che lui la veda per la prima volta.
Quel figlio nel grembo, non nacque mai: un quadro -anche questo- che si fa voce narrante dell’immediato, triste, destino.
Era per questo che dipendeva dal “maudit”? Dal maledetto? Perché solo negli occhi di lui, lei aveva potuto specchiarsi e sentirsi candida?
Una donna con tanti volti, Jeanne Hébuterne
Quando ci si imbatte in questa donna sono tante le domande che restano in sospeso e tanti i caratteri che ne emergono, contrastanti. E, ciò che sembrava -in un primo momento- un viaggio a senso unico diventa un doppio binario, impostoci soprattutto dalle pitture che restano dell’uno e dell’altra.
Nel testimoniare la sua figura, con ritratti che la immiserivano, ci troviamo più vicini a quella vita di povertà e sofferenze condotta insieme a Modigliani. La vediamo asservita al potere di questo uomo, un’antieroina moderna, vittima delle proprie insicurezze e per questo decadente, fragile, compagna della morte.
Lo scultore d’avanguardia lituano, Jacques Lipchitz, per definirla -un giorno- scrisse:
il suo pallore non dà nemmeno l’idea della carne”
una frase che ribattezza quel nomignolo etereo “Noce di Cocco”, un tempo simbolo di virtuosismo, in una drammatica e allarmante nuova interpretazione, emaciata, in lento deperimento.
Viceversa, nei tantissimi volti di Jeanne Hébuterne che Modì dipingeva, si rintraccia una donna forte, capace di controbattere una famiglia cattolica, il loro perbenismo borghese, di entrare a testa alta, il collo affusolato, in un mondo che non lasciava troppo spazio alla sfera femminile.
Quale era la vera Jeanne Hébuterne?
Era forse una Madonna accanto al suo Dio, devota e amorevole, così come la ricordava, in un appunto, lo scultore Lèon Indenbaum?
Talmente dipendente da lui da lasciarsi trascinare in un baratro che, come venne reso noto da un coinquilino in Rue de la Grande-Chaumière, si rifletteva sul viso ma anche in quella casa senza respiro, sudicia, dall’odore ripugnante?
O forse semplicemente una donna romantica?
Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi”
le aveva detto Modì e lei era rimasta intrappolata in questo sogno, la favola in cui si sentiva desiderata, utile, musa preferita di un artista.
Dall’oblio al sole
È solo grazie a una Retrospettiva su Modigliani che, qualche anno fa, 71 sue opere vennero esposte e rivelarono più di quanto scritto finora.
Emersero alcune caratteristiche che la celebrarono artista a tutti gli effetti. Non aveva lo stile unico di Modì ma non c’era superficialità nelle sue opere. Anzi. Si rintraccia la ricerca, costante, di una tecnica che -insieme agli eventi familiari- scaturiva in una pittura ben definita e immediata; inoltre, lo studio puntiglioso dell’anatomia, è una delle caratteristiche che meglio la definiscono, se ne percepisce la presenza oltre le vesti.
Ciò che per anni abbiamo saputo di lei si riduceva a un detestabile ruolo-ombra.
Il contrasto scaturito con i suoi genitori, che non si sanò mai, fu la causa di questo silenzio intorno a Jeanne. Alcune decisioni prese dopo la sua morte sembrano, ancora oggi, una ridicola e chiara punizione atta a cancellare l’imperdonabile debolezza di quella figlia innamorata. Non solo, per dieci anni rimase tumulata nel Cimitero di Bagneux, lontana, dunque, dal luogo di sepoltura di Modigliani, ma venne disposto che tutte le sue opere venissero chiuse a chiave.
Questa donna, che viaggiò solo per tutelare la salute di Modigliani, si suicidò con in grembo un figlio. Queste due scelte così contrastanti ci hanno messo sempre in condizioni di dare un giudizio crudo su di lei.
… all’oblio di nuovo
La prima figlia, che portava il suo stesso nome, Jeanne Modigliani, fu l’artefice della lunga battaglia intavolata per dare al padre il riconoscimento ufficiale fino ad allora mancato.
Lo ottenne nel 1981 quando riuscì a mettere in mostra, a Parigi, tutti i suoi quadri, decretandone un rilancio straordinario e la nascita di una fondazione che ne porta il nome. Ma solo il suo nome, non quello di sua madre.
Ecco, sinceramente, sono una grande amante dei quadri di Modì, però, in tutta questa storia, Jeanne Hèbuterne avrebbe dovuto avere il suo nome di fianco a quello dell’artista maledetto, senza di lei, lui non sarebbe mai esistito, e di questo ne sono certa.
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.