Ci sono autori e autori
Giulia Romaniello si presenta avvolta nella sua timidezza, i grandi occhi accompagnati da un luccichio di ombretto, il rimmel che ricalca con forza lo sguardo.
Velata e nitida, romantica e con il cuore pieno di cicatrici, bagnata di luce e in “chiaroscuro”, è questa la donna che si nasconde dietro l’autrice. E le parole, quelle che hanno urgenza di essere scritte, riescono perfettamente a stabilire il contrasto che in lei è interiore ma anche esteriore.
La Locanda degli Angeli cuce l’atmosfera
Ieri sera la Locanda degli Angeli, che come sempre dona sorriso e leggerezza, ha accolto le poesie di Giulia Romaniello in un’atmosfera familiare.
Il tocco di Cristiana, Mauro, Francesca, Rita e Emma ha fatto galleggiare l’aria. Per i dettagli, per i sapori, per la straordinarietà del posto che, pure se un confetto, riesce a diventare tante cose diverse. Un ristorante ma anche un circolo culturale, un luogo dove far nascere sogni, una parete dove appendere quadri ed esporre oggetti vintage.
La poesia che mette a nudo e salva il mondo
Nell’armonia di questa stanza artistica e con l’accompagnamento fluttuante di un handpan suonato da Ersilia Antoniucci, Silvia Belli ha letto alcune delle poesie contenute nel nuovo libro di Giulia Romaniello, Adrestia.
Poesie che stupiscono: sono crude ma tenaci, c’è una risonanza di echi e dolori ma anche una miscela guaritrice come se riti propiziatori avvenissero mentre le parole dipanano il dramma. Sono forti e toccanti, sono personali, molto personali. Tanto che la Romaniello a un certo punto lo dice di sentirsi nuda, e di avere timore di esserlo di fronte agli altri perché spesso scoprire le proprie fragilità potrebbe dare a qualcuno il pretesto per approfittarsene.
Ma l’autrice ha le spalle forti e crede fortemente nella poesia. E io mi sento molto vicina a lei in questo, sono una di quelle fautrici che pensano che la poesia salverà sempre qualche anima. È una favola, una terapia, un aiuto, un modo per tirarsi fuori dal dolore.
A un certo punto Giulia mi ha colpito quando ha detto:
ho quasi paura… se non soffrissi più, cosa scriverei?”.
L’ispirazione che viene dal buio
È una grande verità. Gli artisti scrivono, dipingono, fotografano, immaginano l’arte proprio nei momenti più dolorosi. È il dolore a tirare fuori l’anima e a dare una voce alle immensità che abbiamo dentro.
E, Adrestia è dolore puro. Ogni pagina sembra marchiata a fuoco più che scritta al computer. Ci sono lacerazioni e luce, c’è la potenza dei sentimenti, ci sono i ricordi reali e anche quelli primigeni a tenere il lettore col fiato sospeso. La poesia di Giulia è un albero con le radici piantate in profondità e la linfa, che si irrora negli strati di pelle, crea canyon, rughe, corteccia.
Le poesie sono state raccolte da Riccardo Santilli che ha abilmente trovato chiavi di lettura interessanti. Le piccole interviste poste all’autrice, vuoi anche per la bella complicità tra i due, hanno toccato il cuore dei presenti. Me compresa che, tra l’altro, ho diverse affinità con Giulia, a partire da una nonna molto importante che ci ha semplificato la vita.
Ma ci accomunano anche il senso della poesia e l’urgenza di scrivere. Quindi nel suo decantare i versi quali strumento di vita mi ritrovo pienamente in questo mood, soprattutto perché rappresentano la nostra salvezza al male, il nostro scudo alle sopraffazioni.
Adrestia e mitologia classica
Adrestia, nella mitologia classica, viene indicata come la figlia di Zeus e Afrodite, colei a cui nessuno può sfuggire. Una specie di divinità vendicativa che però è l’impersonificazione della Madre che punisce le ingiustizie. Colei che accompagna il padre in guerra e che spesso viene identificata anche con Nemesis, la Dea tutrice dell’ordine e dell’equilibrio.
Questa figura indipendente è rappresentativa delle parole di Giulia, quasi l’artefice di un taglio letterario dato al libro.
Ascoltando i versi, scanditi come pugni e poi come carezze, subito, si ha la sensazione che c’è un legame forte con la giustizia, il senso del bene che vince sul male, la luce che colpisce il buio e viceversa.
Tra le pagine di “Adrestia”, in cui la tessitura è fine, musicale, complessa, c’è poi tutta quella parte manifesto che mette a fuoco la disabilità e allora la poesia diventa un grido, un’ulcera da estirpare, una emergenza reale da comunicare a gran voce.
I “chiaroscuri” di Giulia Romaniello
Su una parete della Locanda, Donatella D’Abbondanza ha proiettato alcune immagini scelte appositamente quale spunto di conversazione, delle provocazioni ma anche degli omaggi. Attraverso le fotografie Giulia Romaniello si è raccontata mostrando un’interiorità preziosa, fragile, sì, ma soprattutto coraggiosa, caparbia, in una parola: “rock”.
Personalmente ho amato la poesia “Chiaroscuro”, quei “prati pettinati al contrario che sembrano oceani dall’aroma di liquirizia”. Mi si è aperto un dipinto in testa, un cortometraggio, una musica al pianoforte.
Visivamente, le poesie di Giulia Romaniello sono tutte molto cinematografiche: salgono agli occhi i colori, le atmosfere e anche le cornici.
Da fuori, ieri sera, chi passava in strada ha visto noi incorniciati dietro i vetri della Locanda degli Angeli, un quadro emozionale in questo periodo natalizio che dona un po’ di semplicità e bellezza.
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.