“Diamanti” di Ferzan Ozpetek è un film delicato e pungente, le donne risaltano in tutta la loro seducente femminilità anche se sembrano topolini in trappola.
Ma in loro vive non solo una rivoluzione interiore, bensì anche esteriore, che si manifesta negli abiti indossati, veri e propri capolavori di stile. Uno stile tutto italiano.
L’ultimo gioiello di Ozpetek
Le immagini che produce Ferzan Ozpetek sono sempre evocative, istantanee di un retropensiero, di un ricordo, di un’illusione. Per “Diamanti” è lo stesso.
Anche se più raffinato degli altri suoi piccoli gioielli, e con tutt’altra narrazione rispetto alle precedenti, vi ritroviamo l’originalità a cui ci ha abituati il regista. Vedi l’incipit, per esempio, e vedi alcuni risvolti che calamitano lo spettatore in dimensioni parallele.
E vi ritroviamo una ricchezza di sguardi, un parlarsi senza parlarsi, un detto non detto.
Diciamo che forse questa parte è un po’ troppo lenta, il che crea la tipica “atmosfera turca”. Cioè i registi turchi tendono ad allungare il brodo sulle emozioni che provano i personaggi. Le fanno andare anche per un minuto nello schermo, con una musichetta d’accompagnamento. Di solito sono sentimenti d’amore, e questi sostano a lungo sui volti.
Un’ipnotica Luisa Ranieri
Ecco, in Diamanti Opzpetek indugia sugli sguardi e diciamo che Luisa Ranieri ha due occhi pazzeschi che si prestano alla scelta del regista, il che andrebbe anche bene. Infatti quando esci dalla sala ti porti via soprattutto il suo sguardo ipnotico.
E quindi ci può stare questo “annegare” nel mare oscuro delle sue pupille.
Ozpetek poi è un maestro nel creare intensità. Ti fa arrivare addosso le espressioni dei personaggi, i loro cambi repentini d’umore, la gioia, la rabbia, il malessere. Però forse bastava limitarlo alla protagonista e al duplice rapporto che doveva risolvere con altri due personaggi, invece è un impianto esteso a tutti. Forse troppo?
Le donne di Ferzan Ozpetek
I sentimenti però ci sono e sono anche belli. E ciò che emerge sin dalla prima scena è che si tratta di un film per le donne. E’ costruito sulle spalle di attrici italiane validissime che lui ha modellate come fossero argille rare.
Perfino la Mara Venier è credibile. Ma forse per affetto, e abitudine, mi è mancata Serra Yilmaz nel ruolo di Silvana, la cuoca della sartoria, che per anni è stata la musa ispiratrice e portafortuna del regista.
“Diamanti” è prezioso da questo punto di vista. Le donne di Ozpetek non sono mai eroine perfette, ma sono forti, hanno carattere, carisma e anche quando subiscono le prepotenze di un uomo restano statuarie. E lasciano il segno.
La mia preferita? Come sempre Jasmine Trinca, che è dosata, mai vulnerabile. Anche se stavolta impersona una donna fragilissima, la più fragile.
Grazie a queste donne ci sono momenti esaltanti nel film che ti viene naturale applaudire, momenti di riscatto ma anche momenti d’ironia, o leggeri, quando le sarte cantano tutte insieme.
Elementi evocativi di Diamanti di Ferzan Ozpetek
Mi è mancato un po’ il contorno, cioè la sartoria. Eccetto gli abiti esposti indosso ai manichini che ci hanno fatto rivivere “Fumo Blu” di Mina, e poi “Il Gattopardo”, “Morte a Venezia”, “L’Innocente”, “Ludwig”, “Giorni Felici” di Becket e “Il Casanova” di Fellini, non ho sentito la fatica delle sarte.
Però il rumore delle perline, vetri, diamanti (?), mi ha presto fatto dimenticare questo dettaglio. E’ stato un rumore trascinante per tutto il film. Una grandinata che ti viene addosso, quando si sparpagliano sulla scalinata dell’atelier, e poetico nel magazzino, dove il suono di una tenda ci riporta sicuramente da qualche parte.
Io ho ripensato ad un negozietto della mia infanzia che si trova in una piccola frazione di Amandola. Aveva una tendina antimosche con le piastrine di resina. Appena la scostavi per entrare, le piastrine suonavano tra loro. Era un metro quadro quel posto ma dentro ci trovavi di tutto. Le mensole erano zeppe di scatole alimentari ma anche di prodotti di tabaccheria e, sul lato destro, ci stava anche una cabina telefonica da dove io e mia sorella chiamavamo mamma e papà mentre eravamo in vacanza con i nonni.
Il vecchio Peppe la gestiva con leggerezza. Quanta umanità in quel volto, a Ozpetek sarebbe piaciuto, lo avrebbe fatto diventare un suo personaggio.
Invece nel film, dietro quella tendina di perline e vetrini, ci sono gli occhi di un bambino che guarda alla vita nell’atelier con grande curiosità.
Alla fine chissà se è il bambino il narratore fittizio della storia? Me lo sono chiesta.
L’abito rosso di “Diamanti” di Ferzan Ozpetek
Di elementi questo film ne ha tantissimi, poi ognuno ovviamente ci vede quello che è più vicino al proprio vissuto, alle proprie emozioni, alla propria fantasia. Io ho pianto e ho applaudito, ho ripescato immagini della mia vita e, davanti all’abito rosso beh, mi sono mancane le parole. Un abito sorprendete che, come tutti gli altri abiti indossati dalle protagoniste, è stato realizzato dal costumista bolognese Stefano Ciammitti.
Questo costume di scena è a tutti gli effetti il “fil rouge” del film, e si trasforma come l’animo delle donne che gli ruotano intorno.
Ci sono voluti 160 metri di tessuto per realizzarlo e centinaia di pezzi di pvc che ne hanno decretato “l’effetto wow”.
Intorno a questa realizzazione d’alta sartoria aleggia un mistero, e scoprirete perché.
Inoltre vi scorre la passione, un flusso di lava infuocata che arriva agli occhi e li brucia.
Il cinema di Ferzan Ozpetek: o lo ami o lo odi
Come non ringraziare Ferzan per l’ispirazione, per la tavolozza di colori, e per quei caratteri forti delle sue donne che ci impongono di fermarci e riflettere. Ci impongono di sentirci vive, belle, al centro della scena. Diamanti puri, che devono capacitarsi del proprio valore.
Sicuramente siamo lontani da quel capolavoro che è stato “Le Fate Ignoranti”, forse perché allora si affacciava sul panorama cinematografico con un linguaggio unico. Nel tempo, Ozpetek ha fatto proprio uno stile barocco e ha sovrastrutturato le scene, quando di orpelli, quando di feticci.
Mi ricordo che “Napoli Velata”, per esempio, era tutto questo e forse piacque solo a me e ai fan del regista. I napoletani stessi lo bocciarono.
Il suo modo di intendere il film o ti piace o non ti piace, non esiste una via di mezzo.
E Poi… Giorgia con “Diamanti”
Comunque l’aplomb meta-fisico di Luisa Ranieri, deflagra sul finale. Tutto il suo non-detto e le parole mai pronunciate vengono sviscerate in un modo straordinario, dopo il finale del film, quando cioè scorrono i titoli di coda e subentra la musica. O meglio la voce di Giorgia, a cui Ozpetek affida una chiusura ad effetto.
Un testo quello di “Diamanti” (si chiama così anche la canzone) che mette in bocca alla protagonista, Alberta Canova, l’emozione inespressa, o almeno io l’ho interpretata così.
E se tutto quello che ho dentro di me
sopravvive al destino com’è
il tuo cuore mi resta vicino,
una gabbia di cielo io e te.
Le ferite cucite d’amore
siamo terra bagnata ad un fiore
e il riflesso di noi
negli occhi di un bambino che il destino ancora non ha”.
Cuore Nascosto di Ozpetek
Sono almeno cinque anni che il regista manca dalla cinematografia, ma ha pubblicato un libro “Cuore nascosto” che, penso di poterlo dire liberamente, non mi è piaciuto per niente.
Non l’ho trovato affine a lui, al suo modo di allestire le vite degli altri. Mi è mancato il pathos che invece mi culla sempre nelle scelte registiche, quella suggestione di cui permea le scene e il lato scultoreo con cui caratterizza i suoi personaggi.
Chissà perché ha scritto questo libro, mi sono chiesta mentre lo leggevo.
A volte, quando si scrive, si ha l’urgenza di farlo, di dire qualcosa di profondo, di importante. Una verità.
Ecco, oltre ad averlo trovato privo della sua carica energetica mi è apparso soprattutto sterile nel contenuto, tanto da non aver trovato alcuna verità da fare mia.
Diciotto donne per “Diamanti”
Tornando a “Diamanti” penso che, come al solito, non a tutti sia piaciuto, ma è un film d’effetto, quasi teatrale, interpretato da diciotto attrici, messe tutte insieme attorno allo stesso tavolino e sullo stesso palcoscenico. Un bell’impatto visivo.
E in ognuna di loro ritroviamo un pezzetto di noi.
Bello, ma non magnifico.
Empatico ma anche freddo.
Se ne resta al suo posto, e nonostante il reiterare di sguardi, emozioni e la forza di queste donne che emerge fiera, non è un film che rapisce all’istante, va pensato, assaporato, masticato.
L’atmosfera caliente però c’è, ed è tutta in quell’abito rosso.
Buon 2025
Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.