Capo Nord mi manca. È una sensazione strana, come se potesse rappresentare un rifugio e allora ogni tanto c’è questa necessità di tornarci. Ma da sola
Una partenza di gruppo
Capo nord è stata l’ultima tappa del viaggio, la più spettrale e luminosa insieme.
Quando sono partita per la Norvegia ero preoccupata: per la prima volta viaggiavo con un gruppo di persone. Sconosciute, tra l’altro. Che quando le incontri in aeroporto ti cresce la curiosità di scoprire chi sono, cosa fanno, le guardi con un grande interesse, ma poi -dopo un paio di giorni- ti rendi conto che non le vuoi conoscere affatto. Il momento in cui ci si annusa credo sia fondamentale e da quel momento si lega con alcuni e meno con altri. Le mie compagne di viaggio sono state Gaia, Giovanna e Mezia, con loro mi sono davvero divertita, mentre gli altri, non li ricordo neanche.
La Norvegia è una di quelle situazioni che sognavo da anni. Io, la valigia, la macchina fotografica, la strada, Capo Nord.
Un paese che fa pensare ai salmoni, alle grandi macchie di verde, ai paesaggi d’acqua.
E allora la riempio questa valigia. Mi rendo conto che se non viaggio soffoco, che se non mi immergo in altre parti di mondo la pesantezza della quotidianità è troppo difficile da reggere.
Nell’istante in cui mi sono trovata a decidere se andare o meno, un istinto euforico ha scalzato la pacatezza e mi sono ritrovata su un aereo, pronta a vivermi una nuova storia.
Se mi isolo è colpa della Canon
Le esperienze si somigliano solo per un fatto: nel bene o nel male ti travolgono.
Ed è bello avere la testa piena di tante cose. Nel mio caso è bello avere anche la macchina fotografica piena di scatti utili.
E, visto che il viaggio è come una specie di altare sacro, lo sfrutto appieno per dedicarmi a me stessa, divento una larva che succhia la vita altrui attraverso l’obiettivo.
A volte, lo ammetto, è anche un rifugio per non litigare.
Così è andata. Che mi sono isolata nella “scatola nera” mentre i Fiordi si facevano il verso nei grandi bacini di acqua, i cieli si conciavano di luce cristallina, le notti si vestivano di sole. E mi sono prostituita ai tramonti che non tramontavano mai.
È stato assolutamente un viaggio diverso, non direi meno intimo, direi forse meno libero perché dipendevo da altri, ma il contatto con la gente, con i luoghi, con le situazioni, quelli non me li ha tolti nessuno.
Obiettivo Capo Nord
Può sembrare un fatto incredibile, a chi non è solito avvalersi della fotografia come strumento di viaggio, ma è difficile che un fotografo rimanga ancorato alla realtà.
L’attenzione è al massimo perché gli attimi non si ripetono, e chi ama catturarli lo sa bene, ma è un’attenzione filtrata dall’obiettivo. Quindi tutto quello che ruota intorno, compresi i compagni di viaggio, scompaiono.
Non è la regola. Dipende spesso da quanto si è ricercatori e da quanto si è coinvolti dall’esperienza che si sta vivendo. Capo Nord, ad esempio, è il luogo delle grandi energie che si incontrano, non si può rimanerne esclusi, tutto -intorno- parla di grandezza. Ma credo, perché l’ho provato sulla pelle, che entrare in quella dimensione in solitaria faccia raggiungere delle emozioni estreme che chiacchierando non si sentono.
E io in certe circostanze, dimentico chi sono, dove sono -ad esempio-. Dimentico di bere, di mangiare, dimentico di avvisare chiunque sia con me se devio il percorso, dimentico di avere la parola. Entro in uno spazio virtuale e parallelo, vedo le cose con un occhio critico, le devo analizzare, le devo odiare o amare, le devo confrontare con ricordi registrati nella memoria, devo trovargli il giusto angolo, la giusta luce, e le devo anche personalizzare.
Si instaura una conversazione tra me e le cose. Lì, sono strettamente connessa con la realtà, ma solo lì, in quel microscopico spazio-tempo. Il resto è assenza pura. Non sento domande, non do risposte. È allucinante viaggiare con un fotografo, quantomeno è allucinante viaggiare con me.
Chi ha rubato la Luna?
Con la Norvegia -nonostante le 15 persone di troppo- avevo stabilito un buon legame, perché è un paese dai pastelli scuri, ti lascia spazio per indagarne l’origine della sua natura. Ha una grande stabilità, la freschezza delle albe e dei tramonti, il cielo loquace e poi grinzoso, le terre ampie e sospese, le alture mozzafiato, le strade che disegnano lunghi serpenti argentei, i tunnel vertiginosi. Il silenzio. Già, nonostante tutto, il silenzio.
Se proprio devo pescare una nota stonata, direi che mi rendevano nervosa le notti. Non si faceva mai buio e quindi ero irrequieta e stanca. Non riuscivo mai a prendere sonno. Guardavo il cielo, come faccio a casa quasi ogni sera -cercando la luna, cercando le anime- e non potevo trovare nulla che appartenesse alla notte, nulla di simile da raggiungere con lo sguardo. Perché gli occhi, a un certo punto, hanno bisogno del buio. Mi innervosiva questa costrizione. Mi disturbava nel profondo, destabilizzava quasi. Ma, ecco, è l’unico risentimento che ho provato per questo luogo.
Quelle strade da non perdere
La Norvegia non è paese che trabocca di turisti e, se ci sono li incontri solo nelle città. Se, invece, percorri le strade queste sono deserte e si viaggia con curiosa calma. E le strade sono perfino belle da fotografare, nonostante l’asfalto. C’è un senso di infinito nel loro starsene in mezzo ai paesaggi e sono contaminate dal colore del cielo, macchiate dalla corsa di qualche gruppo di renne.
Queste creature sembravano un’apparizione, parevano davvero uscire da una fiaba antartica, ti aspettavi -quasi- da un momento all’altro, di vedere comparire anche le slitte; ma essendo libere -invece- giravano indisturbate senza alcun Babbo Natale al seguito.
Sono creature speciali, si portano dietro una sorta di misterioso atteggiamento, ed hanno uno sguardo ipnotico, ma soprattutto possiedono questi vorticosi palchi, che gli si ramificano in testa e sembrano così pesanti!
Ne abbiamo incontrate diverse lungo la strada desolata che portava a Nord Kapp.
Immaginate ora Capo Nord
Un posto investito dalla nebbia, ombre che ne uscivano, non solo animali ma anche persone in bicicletta o a piedi, che andavano da qualche parte. Emergevano dal nulla e scomparivano nel nulla.
E immaginate le renne in questa atmosfera “da giallo”.
Abbiamo percorso un serpentello lunghissimo prima di arrivare sulla falesia dove si concentrano le energie della terra. Ma somigliava più all’atterraggio sulla luna che alla fine di un viaggio. La coltre densa e fumosa aveva sospeso nel vuoto sia il Globo che la Blockhaus, l’edificio nato per accogliere i turisti e offrire loro diversi servizi. Non si vedeva niente altro.
Da questo carico corposo e immaginifico di polvere di ghiaccio, a un certo punto, sono emerse delle sagome ben definite: erano sette medaglioni in pietra rappresentativi di alcune nazionalità e, di fianco, una madre con il figlio che indicavano i bambini del mondo.
Più a nord?
Dopo essere stata a Cabo da Roca, in Portogallo, che è considerato il punto più a ovest d’Europa, mi ritrovavo in quello che, per punti geografici, è considerato il più a nord. E non potevo certo farmi mancare il Certificato di questo passaggio, così sono entrata nella Blockhaus e mi sono fatta rilasciare dal Royal North Cape Club una pergamena che attesta che mi trovavo alla Latitudine Nord di 71°10’21”.
Solo più tardi, rileggendo alcuni articoli, ho scoperto che, in realtà, il punto più a nord d’Europa si chiama Capo Nordkinn (70 Km a est di Capo Nord) e, come dire, me ne sono dovuta fare una ragione.
Un Capo Nord Bis
Avendo mancato la spettacolare veduta che si gode dal promontorio, il giorno successivo abbiamo deciso di tornarci. Ci siamo avventurati di nuovo lungo lo stradino, stavolta sgombro da nebbia. I campi verdeggianti risaltavano, il cielo era aperto e più vicino alla terra di quanto avessi mai visto altrove.
Era davvero incredibile: il paesaggio aperto cambiava la percezione del luogo, così la luce, piena di sfumature.
Toglieva il fiato guardare giù dalla roccia verso il Mar Glaciale Artico. Tutta quella assenza di luogo, provocata dalla nebbia il giorno prima, era diventata prepotentemente invadente il giorno dopo.
Eppure, nonostante l’esplosione di colori e del paesaggio, nonostante l’emozione che mi provocò lo strapiombo sotto i piedi, giù fino a toccare il mare, io personalmente Nord Kapp, l’ho amata con piacere estremo nelle sue atmosfere sospese, nell’immobilità, negli orizzonti nascosti.
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.