C’era una volta a Formello – Foto d’epoca, è una mostra di 400 fotografie in bianco e nero, qualcuna rara a colori, tirate fuori dai cassetti di famiglia
Formello non ha età
Organizzare la mostra fotografica C’era una volta a Formello – Foto d’epoca, è stato un lavoro certosino.
Sono entrata casa per casa, ho parlato con gli anziani, con gli amici di famiglia. Ognuno mi ha gentilmente prestato le fotografie. Così le ho selezionate, divise per argomenti; ho costruito -con l’aiuto di mia sorella- delle cornici di cartone, lavorandole solo con le mani. Alla fine ho incollato le fotografie alle cornici e, insieme al gruppo Doppio Click, le ho allestite in Sala Orsini di Palazzo Chigi.
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Ne è venuto fuori un capolavoro, non solo per lo stile: il bianco e nero e il cartone si sposavano benissimo, e le storie hanno saputo accendere una luce nuova sul passato.
Questo è stato possibile dando spazio ai volti, più che a ogni altra cosa. E, in quelli, le persone si sono riconosciute, hanno riconosciuto una loro nonna, una zia, un amico, pezzetti della loro famiglia, inediti. Li osservavano con attenzione, indicavano continuamente le persone ritratte, quando un uomo quando una donna, quando dei bambini. Se dimenticavano un dettaglio ritornavano, traghettando altre persone con loro.
Era una gara a chi mostrava più appartenenza, più scorci di Formello. E si emozionavano riconoscendosi da piccoli, o riconoscendo qualcuno di famiglia.
C’erano una volta i Formellesi
È bastato rispolverare vecchie immagini per sentirsi parte di una comunità. Ho visto entrare e uscire dalla Sala Orsini non so quante persone. E poi le ho riviste nei giorni successivi, abbandonate alle emozioni -che gli suscitavano le fotografie-, accesi dalla curiosità di immischiarsi ancora in quei pezzetti bianchi e neri. Nella vita vissuta dai nostri antenati.
Fotografie pieghettate, ingiallite, seppiate, perfino macchiate di caffè, scritte sul retro con qualche appunto, con dei calcoli di matematica, nomi, date, una lista della spesa, insomma, un po’ dimenticate. Fino al mio arrivo.
Dalla fine dell’ottocento ai giorni nostri, ogni ritaglio di quotidianità, ha ridato forma ai ricordi che, a loro volta, hanno svelato tanta umanità. Negli sguardi e anche negli abiti consumati si legge la povertà di cui abbiamo sentito parlare ma le pieghe dei vestiti raccontano anche una forma di dignità drammatica mai persa.
Mi ha molto emozionato questo incontro culturale e sociale, mi hanno intenerito gli anziani che aprivano i cassetti, mi ha fatto piacere averne fatto parte.
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.