Andrea Devicenzi esplora territori portandosi dietro un’equipe di affezionati e, visto il carico di emozioni, decido di buttare via l’intervista che avevo preparata
Premessa
Andrea Devicenzi, è passato a Formello il 29 Novembre 2019, prima di concludere il suo viaggio a San Pietro, Roma.
Era provato dai quasi cento chilometri? Era emozionato, deluso, allegro, irato? Non gliel’ho chiesto. In compenso, in questo articolo, troverete un’intervista interattiva, anzi, una domanda interattiva e, quando risponderà, inserirò la sua risposta nell’articolo.
Sulle tracce di un atleta
Ho imparato tantissime cose su di lui, leggendo il suo diario, gli articoli, le interviste, facendo attenzione ai suoi post, ai suoi viaggi, e alla sua ultima fatica: la Via Francigena.
La voglia di seguire il suo percorso nasce dalla stima. Il bisogno di documentarmi, invece, dalla curiosità. Avrei voluto racimolare informazioni per dare risposte alle domande che avevo dentro.
Mi sono resa conto, leggendo, che ci sono dei passaggi incredibili nella sua storia, ciò che definiremo bivi, destino, strada. Lui ha già vissuto due vite. E lui ha preso delle decisioni che sono di esempio: la prima, quella di non avere bisogno di una protesi d’apparenza e la seconda, quella di lasciare il lavoro per seguire una missione.
Prima di incontrarlo avevo immaginato di elencarvi premi, vittorie, i percorsi che ha affrontato, le tappe personali e quelle sportive che lo hanno condotto fino alla Francigena ma, quando gli ho stretto la mano, ho capito che non avrei fatto nulla di tutto questo.
Non gli ho chiesto niente. E non per timidezza, più per rispetto della persona. Era il suo momento, non il nostro. Non il mio, almeno. Un momento importante. L’ultima tappa prima di arrivare a Roma.
Dietro la sua ombra
Immaginatela la fatica di questo atleta, ma non immaginatela sulla gamba, immaginatela nella testa, nelle mani, in quelle vesciche gonfie e rosse che si sono formate a ogni passo. Guardate ad Andrea Devicenzi non come a un fenomeno ma come a un uomo straordinario.
Mi sono semplicemente accodata all’entourage di entusiasti che lo seguivano e lo precedevano. E ho scoperto che non mi sarebbe servito fargli delle domande, che tutto quello che avrei potuto scrivere era già davanti ai miei occhi.
Dalla Valle del Sorbo a Isola Farnese, in quella lentezza straordinaria che è il cammino, mi è bastato ascoltare il suo silenzio e i suoi modi gentili per avere un pensiero da esprimere.
Chi, però, volesse approfondire la sua straordinarietà c’è il suo sito, da lui stesso aggiornato, o la sua pagina Facebook, e ci sono gli articoli dei tanti giornalisti che lo hanno intervistato.
Io vi racconto l’Andrea Devicenzi, vogatore
Ho cercato di stare al suo passo, mi ero immaginata di sentirmi piccola, perché camminando di fianco a un uomo che ha ribaltato la sua esistenza e ha trasformato un incidente, in un’occasione, si rischia di esserlo, piccoli.
Eppure mi sbagliavo, ho dovuto rivedere le mie considerazioni iniziali. Nonostante le spalle -il triplo delle mie- la potenza nelle braccia -che non comparerei affatto alle mie- mi sono sentita forte, decisa, non ho avvertito una disparità.
E dubito sia accaduto per merito mio.
Andrea Devicenzi ha una capacità incredibile di fare tutto con molta semplicità. Camminava, dialogava, sorrideva, scherzava, pur avendo quasi cento chilometri di strada alle spalle, senza un minimo di sforzo nello sguardo, nella voce, nel fisico.
Interiormente mi è sembrato di incontrare uno spirito guida. Non saprei descriverlo altrimenti.
La grande verità su Andrea è che la sua forza di volontà è una miccia ad espansione, una bomba che quando esplode, divampa intorno e accende tutto ciò che brucia. Noi eravamo accesi da lui.
In un’altra situazione, probabilmente, ci saremmo lagnati del ginocchio che cede, delle vesciche ai piedi, del mal di schiena e dei tanti altri problemi fisici di cui tutti soffriamo o, a questo punto, crediamo di soffrire.
Stare al passo di un Campione
C’è una frase che ho letto sul suo diario e che mi è rimbombata nelle tempie per tutto il cammino, una frase che racconta un momento preciso e critico dopo l’incidente:
Sono morto per cinquanta interminabili secondi”
Nel guardarlo “vogare”, farsi strada, fare strada agli altri, cosa avreste provato, dopo aver letto questa frase?
Io, appunto, non mi sono sentita piccola -come pensavo- ma ispirata, grata di aver avuto l’opportunità di stringergli la mano, e accompagnarlo, anche se per un così breve tratto.
Ho scattato delle fotografie durante il percorso ma non è stato facile allungare il passo su Andrea. Anticiparlo su alcuni tratti.
È un soffio di vento. Non lo senti arrivare, la Due Due è silenziosa, e lui non ha il respiro affannato dei comuni mortali.
Un paio di volte, certa di averlo staccato, mi sono girata per catturare l’attimo, ma lui era subito dietro, a un passo da me. E in alcuni momenti, per scherzare, inseguiva gli altri compagni di viaggio, che correvano avanti -come me- per fotografarlo, e si faceva trovare a un palmo dal loro naso.
Una domanda soltanto
In questo contesto di gente ispirata, una signora di Modena, Tina, mi ha, in qualche modo, suggerito una domanda da fargli, l’unica che mi sono sentita di sposare. Ma che non avrei potuto rivolgergli mentre camminavamo o, di fronte alla Cascata di Isola Farnese, all’arrivo.
Alcune domande hanno bisogno di risposte esaustive e, nel comprendere la complessità dell’argomento, ho pensato di chiederglielo qui, nello spazio virtuale.
“Andrea, di certo, in tanti sapranno cos’è -Progetto 22- , io nell’ascoltare le parole di Tina me ne sono innamorata, lo puoi raccontare a chi non lo conosce? Grazie!”
Progetto 22 nasce da una mia idea, nel 2014, in cui volevo portare la mia esperienza a più giovani possibili.
Sono particolarmente legato alla loro età, perché sono padre ma soprattutto perché a 17 ho perso per sempre la mia gamba sinistra.Occupandomi di Formazione, il desiderio non era e non è solo quello di raccontarmi ma di dare a loro esempi concreti, e strumenti, per riuscire a superare le proprie difficoltà e raggiungere i propri obiettivi.
Come? Riscoprendo dentro di se le proprie RISORSE e ne ho individuate appunto 22, che sono state il mio fanale guida per uscire dalla disabilità, rivalutare il concetto di NORMALITA’ ed accettarmi così come sono ora, con una gamba in meno.
In quasi 5 anni ho avuto l’opportunità di incontrare, in tutte le regioni d’italia, oltre 70.000 giovani, ho visto cambiare la luce nei loro occhi e ho sentito crescere l’attenzione a mano a mano che parlavo.
Inoltre sono fortunato, perché nei giorni successivi agli incontri mi arrivano tantissimi messaggi che mi riempiono di soddisfazione. E questo, tra le altre cose, mi spinge a continuare, sempre, dedicando ogni anno, almeno 40 giornate a loro.
Perciò, l’invito è aperto a genitori, insegnanti, dirigenti interessati a tutto questo”
Nel salutarlo mi sono vergognata di chiedergli una fotografia insieme. Perché è ciò che lo avrà perseguitato per tutto il viaggio, immagino. Farsi foto con tutti noi che lo seguiamo, inseguiamo.
Qualcuno dirà, fa parte del gioco. Forse sì. Forse, anche no.
In compenso sono stata felice di sentire l’ampiezza delle sue spalle sotto le mie dita e di ritrovare con il tatto la stessa forza che gli brilla negli occhi.
Roma, di certo, non sarà il suo ultimo traguardo.
ALTRI ARTICOLI CORRELATI:
Jack Jaselli ultima tappa Formello
La Francigena e i sogni di chi passa di li
I gatti del Centro Storico di Formello
Il Crèmera spacca Formello in due
Pezzi di me nel Crèmera: due storie
La Francigena a Formello verso La Selvotta
Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.