San Martino è una di quelle figure per metà leggendarie per metà “in carne e ossa”, un uomo che ha incontrato Dio e ne ha seguito i passi. Il famoso mantello, invece, ci consegna la parte più umana di lui e, soprattutto da bambini si è aperti agli esempi positivi. San Martino fa innamorare, è un santo-amico che da’ protezione, mette serenità, insegna cosa vuol dire essere altruisti, e che saper donare è un dono.
Il mantello quale atto di generosità
Questa è una leggenda moderna, e lui un personaggio di cui in questo momento storico abbiamo davvero bisogno.
Forse ci sentiamo un po’ smarriti, no? Le relazioni sociali sono diventate altro, corrono sul web, e il non incontrarsi ha sotterrato le alchimie, ci ha reso piuttosto sterili. San Martino, invece, sotto una pioggia battente ha visto un pover’uomo in difficoltà e l’ha aiutato, semplicemente. Poi Dio gli è comparso in sogno e gli ha detto “quell’uomo ero io… è me che hai aiutato”.
Questa metafora -che in ognuno di noi c’è un pezzetto di Dio– mi rassicura perché da’ un significato diverso al nostro essere vivi. Intanto significa che in qualsiasi altro uomo e donna c’è Dio, quindi nell’incontrarci dovremmo far prevalere questa circostanza; e poi che se in metà del nostro corpo alberga Dio, le azioni meno degne possono essere controllate da una voce buona.
Noi tutti siamo per metà malefici, per metà angeli, menti pensanti che possono strappare il proprio mantello a metà, e donarlo a chi ne ha bisogno, o negarglielo. Dipende dunque da quale voce prevarrà di più in noi.
Il mantello tra l’altro -Dio- glielo restituì integro a San Martino, questi lo trovò in fondo al letto al suo risveglio, ben piegato.
Il santo, non solo non perse nulla, ma si asciugò dalla pioggia. Sì, perché subito dopo essersi spogliato del mantello vide scomparire il temporale e il mondo inondarsi di raggi di sole.
Un cantante-profeta: Vasco Rossi
Ieri sera su Rai Radio 2 ho ascoltato l’intervista a Vasco Rossi, era in diretta e, come sempre, Vasco -che nella sua vita è stato metà santo e metà diavolo- ha tirato fuori una delle sue chicche che mi sento di rapportare a questo pensiero, perché ha detto “c’è un po’ di Vasco in ognuno di voi”.
Ecco, sinceramente credo che se sposiamo chiunque -che può essere Dio o un cantante-, se combattiamo per una causa -sempre meglio giusta che sbagliata-, in qualche modo, un pezzetto di ogni persona o cosa, torna nostra, ci appartiene, vive in noi. Dobbiamo solo decidere chi siamo e chi sposare.
Vasco Rossi è un generoso, proprio come San Martino. Ci dice “potete essere un Vasco, avere successo, vivere con la musica nel cuore, fare quello che vi piace, se ci credete davvero”. Vasco alla fine di ogni concerto non manca mai di aggiungere “… ce la farete tutti”.
Le sue canzoni sono come la Bibbia per noi, popolo di Vasco, e lui un po’ profeta lo è. Già che dopo Albachiara decida di dedicare un pensiero a noi, i suoi fan, per darci forza e coraggio, ti fa comprendere la sua umanità, che non è “paracula”, non ne ha proprio bisogno, è senso del dovere.
Non è Dio ma le sue parole hanno un peso per chi le vuole sentire, ne è responsabile. E le utilizza dando messaggi di pace, sempre.
Il San Martino che è in noi
Una bella favola quella di San Martino?
Eppure è così piena di elementi narrativi da sembrare inauditamente vera: tra le storie vicine alla fede cristiana, è quella più reale.
San Martino potremmo essere ognuno noi. Un semplice soldato che ha combattuto nelle Gallie e che, a un certo punto, si toglie l’armatura, depone la spada e imbraccia la parola di Dio, si battezza a lui divenendo prima monaco e poi Vescovo di Tours.
Un cambiamento radicale, quello che noi chiameremmo “bivio” e che, una luce soprannaturale ha illuminato di bellezza.
L’Estate di San Martino inizia l’11 Novembre e si dice duri “tre giorni e un pochino”, intanto il vino fermenta nelle botti, l’odore di mosto fa rumore nelle narici, si brinda col vino nuovo e si incominciano ad accendere i camini.
Gli stormi d’uccelli neri
La poesia di Carducci evoca benissimo quell’atmosfera mite di foglie rosse, di odori forti d’autunno, e soprattutto di convivialità, di vicoli che diventano un luogo di incontro.
E infine scrive:
…tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar”
E poco fa, la sorpresa! Sopra i tetti di Formello, sciami impressionanti di uccelli migratori hanno danzato fluttuanti, in un corpo solo, girando come mulinelli e poi falcando l’aria, compatti, come una lama tagliente. Uno spettacolo che, a guardarlo, mette nel petto moti rivoluzionari. Il loro fragile volo individuale diventa forte insieme agli altri, e quella libertà che si allarga in cielo ti invade lo sguardo, e non sai dove guardare.
Il rumore bellissimo del loro gioco buca le orecchie di poesia, lo ascolti e vorresti restasse lì, invece se ne vanno lasciandoti a terra.
San Martino è anche questo. Riti che si palesano improvvisi e altri che invece si perpetuano nei secoli.
UN BREVE VIDEO SOPRA I TETTI DI FORMELLO ↓
La leggenda delle Lanterne di San Martino
Tra tante piccole evocazioni nate intorno alla figura del santo ce n’è una che mi piace moltissimo. È la Leggenda delle Lanterne.
San Martino, un giorno, aveva già 81 anni, per sanare un grave scisma si diresse verso Candes, un paesino della Francia.
Viaggiò vigoroso, come sempre aveva fatto nella sua vita, e spense gli animi burrascosi di clero e popolo. Ma una volta riuscito nell’intento fu colto da una febbre letale che chiuse i suoi occhi per sempre.
Venne disteso in terra e cosparso di ceneri, da persona umile quale era stato in vita. Era l’8 novembre del 397 d.C.
La salma venne vegliata da un nutrito stuolo di persone, ognuna depositaria di una lanterna. La luce vaporosa emanata da tante lanterne finì col creare intorno a lui un’atmosfera misteriosa, quasi aurea.
… ma cosa accadde nella notte?
L’involucro fiabesco venne interrotto, anzi, quasi oltraggiato, da un litigio nato tra gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours, nientedimeno che per la custodia della salma. I primi pretendevano di seppellirlo a Candes, i secondi lo volevano ricondurre nella città di Tours, di cui era stato Vescovo. Vegliarono il Santo con l’anima in pena. Ma mentre gli abitanti di Poitiers si appisolarono, quelli di Tours trafugarono la salma, la calarono in un battello e risalirono la Loira fino a Tours.
L’11 Novembre il santo trovò la dimora eterna nella Basilica che porta il suo nome.
La sua tomba, per chi volesse visitarla, si trova nella cripta.
Da questa veglia con le lanterne è stata tratta un’usanza per cui i bambini aspettano la notte di San Martino accendendo per lui una candela alla finestra, in segno di ricordo ma anche di accoglienza.
Halloween? Ahahahaahahah 🙂
Per quelli che inneggiano tanto ad Halloween, non vorrei deludervi ma l’Estate di San Martino, in realtà, ha molta più storia alle spalle. Peccato in Italia non sia stata tramandata adeguatamente. Laddove, invece, l’usanza è rimasta viva, tipo a Venezia, si vedono i bambini, protagonisti assoluti, andare in giro per le strade e chiedere caramelle. Altro che dolcetto o scherzetto, impugnano dei campanacci o delle pentolacce per annunciare il loro arrivo, inondando di suoni rurali l’aria.
Il valore di carità di San martino
È un santo amato , San Martino, che ha trasmesso coraggio ai sottomessi, ha portato la parola di Dio nelle campagne, e ha fatto -della carità cristiana-, un po’ come San Filippo Neri, la sua missione in vita, lasciando dietro di sé, da morto, solo luce. In Francia, per questi motivi, circa 500 paesi hanno preso il nome di San Martino: e anche Candes, dove morì, divenne Candes-St-Martin. E’ stato anche un grande viaggiatore, da giovanissimo come soldato e in seguito come discepolo di Dio: per questo è considerato il protettore dei pellegrini.
L’unico momento in cui si fermò fu a Ligugé, dove visse da eremita nell’abbazia che lui stesso aveva fondata, nel 361 d.C.
È l’edificio monastico più antico d’Europa, ancora attivo, e nel 1965 è stato dichiarato Monumento Storico.
Un mantello, un bicchiere di vino, una canzone
Nell’Estate di San Martino dovremmo cogliere i valori che ci ha lasciati, indossare quella luce, portare affetto a un bisognoso, trovare il nostro mantello, e donarlo.
È bello festeggiare se le radici di quel gesto tornassero a vivere in ognuno di noi, a centuplicarsi. Altrimenti, come al solito, sarà stata la battaglia di uno solo contro il mondo.
Invece abbiamo “tre giorni e un pochino”, come recita il proverbio popolare, per coprire le spalle di qualcuno, brindare col vino novello e cantare in allegria. Che è un po’ il senso della vita.
Semplice, fluido, genuino.
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.