Le strane creature a ridosso del cielo
Il Giardino dei Tarocchi è una di quelle mete un po’ sopra le righe dove un’artista folle, Niki de Saint Phalle, ha fatto nascere 22 arcani dei tarocchi divinatori in un formato esuberante.
Salendo verso il parco degli ulivi, subito si apre davanti una strana composizione di creature che sembrano attenderti o volerti solo scrutare.
Io e la mia amica Cristiana ci sediamo su una panchina di lato, e cerchiamo di comprenderne il significato rintracciando le figure che lo compongono.
Il Giardino dei Tarocchi tra gioia ed esoterismo
È un regno colorato di ispirazione gaudiniana, quindi nulla di originale a livello di interpretazione artistica. Qui, quello che ha valore è il progetto in sé di un parco in cui sono racchiusi misticismo, ironia, favola e magia. Niki lo definisce giardino della gioia anche se, pur apprezzando i colori, il grande lavoro artigiano che c’è dietro e l’elaborata mole di ceramiche e specchi impiegati, qualcosa nella natura di questa opera me lo rende leggermente repellente. Forse il suo lato esoterico.
Specchietti per le allodole
C’è una strana forza nel parco, un’energia, un attrito, insomma un vigore perentorio che arriva probabilmente dal team che ha lavorato alla sua creazione. Dietro la fiaba ho rintracciato diversi elementi inquietanti.
Lei visse, per tutto il tempo dei lavori, circa venti anni, nella figura numero III, l’Imperatrice.
L’interno di questa figura è completamente rivestito di specchi. È luminoso e ti viene di giocarci, di cercarti nello spezzettamento di vetrini scomposti, ed è un lavoro certosino ma quei frammenti mi segnano come se potessero staccarsi e ferirmi. Sento una sofferenza fisica che non so descrivere. Mi mettono ansia.
Giardino dei Tarocchi: Exit
Queste sculture mi soffocano, tutte troppo concentrate in pochi metri quadrati. Ce le hai intorno, addosso, ombre pesanti, e non riesci a godere singolarmente dell’una o dell’altra. Avrei preferito trovarle sparse nel parco, passeggiando tra gli ulivi, poterle ammirare ognuna dentro un proprio spazio di contemplazione.
Si ha sempre bisogno di spazio: lo insegnano anche nella scrittura creativa, nell’impaginazione dei testi. La famosa pagina bianca che fa respirare il lettore.
Mi manca quest’area di riflessione nel Giardino dei Tarocchi. È tutto subito, e tutto si esaurisce nel giro di una mezz’ora, 40 minuti. Non c’è il tempo di capirlo che sei già uscito.
Il progetto è però lodevole, un’idea che l’artista ha potuto realizzare grazie a una grande caparbietà: per finanziare l’opera ha creato un profumo che ha venduto in edizioni limitate. Segno chiaro che ha creduto molto nella sua visione, quindi una favola a lieto fine degna di essere raccontata.
Niki Saint Phalle, sì
Nel contesto manca totalmente una descrizione delle opere, non c’è una guida, né fisica né cartacea che ti racconti le figure. Forse è nella filosofia del luogo e in linea con la mentalità della Saint Phalle ma anche se è giusto che ognuno si faccia la propria idea e abbia la propria intima emozione è anche vero che bisogna dare una mano al visitatore, renderlo partecipe. Il collage “arlecchiniano” di Gaudì è l’unico elemento che si distingue appieno perché ti arriva immediatamente agli occhi il Parque Güell, quello spirito allegro e colorato del grande artista spagnolo.
Mi è piaciuto? Non saprei. Però la Saint Phalle sì, per la straordinaria coerenza con cui ha portato avanti il lungo lavoro, auto-sponsorizzandosi e circondandosi di molti altri artisti.
Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.