Annie Londonderry e la sua bicicletta attraversarono il mondo e durante quel viaggio il look vittoriano fu abbandonato per fare posto a una donna nuova
Chi era Annie Londonderry
Annie Londonderry, come i titoli di giornale o i libri la ricordano, nacque Cohen, da una famiglia di ebrei lettoni e, una volta sposatasi, divenne Kopchovsky.
Mi sono appassionata alla sua storia quando sono incappata nella copertina di un libro per bambini dal titolo per me significativo “Il vento in tasca”. Il vento. Questo strano, incredibile elemento di libertà. Ho pensato subito al libro di poesie che ho scritto e così sono andata a vedere di cosa trattasse.
Lei, questa giovanissima donna, Annie Kopchovsky, aveva fatto qualcosa di straordinario, non solo per il traguardo fisico ma soprattutto per quello storico.
Annie era emigrata con la famiglia a Boston e, era talmente piccola, che le fu concessa la cittadinanza americana. A soli diciotto anni fu costretta a sposarsi, essendo rimasta orfana di padre e poi di madre. Ebbe tre figli in tre anni.
Perché vi do queste informazioni come se fossero l’elenco della spesa?
Perché Annie, prima di prendere la decisione più importante della sua vita, era la classica donna contrita dell’età Vittoriana, relegata nel ruolo di madre e moglie, senza altri svaghi. Mentre, invece, avrebbe voluto essere qualcun’altra. Più libera, più indipendente.
Come salì in sella alla bicicletta
C’è una leggenda che racconta di una scommessa tra due uomini -secondo i quali nessuna donna avrebbe mai potuto fare il giro del mondo in bicicletta- che Annie avrebbe raccolto per emanciparsi e dimostrare loro il contrario.
Ma appare più probabile che il lancio di questa avventura fosse stato architettato dal proprietario della Pope Manufacturing Company che aveva in produzione, in quegli anni di grande fermento per la due-ruote, la Columbia, un modello adatto per essere maneggiato da una donna. Non si hanno però notizie certe sul come Annie entrò in contatto con questo mondo, fatto è che non ci pensò poi molto, lasciò i tre figli al marito e iniziò la sua pedalata contro quell’opinione pubblica maschilista che la voleva relegata in casa a fare la massaia.
Partì con un abbigliamento consono a una donna -la lunga gonna nera, la camicia avvitata, un blazer e un cappellino di paglia- e tornò con un out-fit rivoluzionario: pantaloncini a palloncino e una maglia di lana aderente.
Perché divenne Mrs Londonderry?
Il presidente della Compagnia Londonderry Lithia Spring Water, decise di finanziare l’avventura di questa donna, credendo molto nella sua riuscita e per questo apponendo sulla bicicletta il suo marchio, con il quale –inevitabilmente- Annie fu associata per sempre.
Per tutto il viaggio Annie Londonderry ebbe con sé un revolver con il manico di madreperla, atto alla difesa personale, che per fortuna non fu mai costretta ad utilizzare. Infatti ,la sua lunghissima pedalata, conquistò tutti i paesi che attraversava. Ogni volta la accoglievano incitandola a non arrendersi, così lei cominciò a relazionarli con degli storytelling incredibilmente vivaci ed accattivanti, il cui forte senso di libertà non fece altro che promuovere sempre di più il suo percorso. Lei che prima di quel famoso giro del mondo non c’era mai salita.
Era di corporatura esile e non era allenata fisicamente ad affrontare un viaggio tanto duro, non era mai salita in sella se non per provarla, qualche settimana prima della partenza. Diverse volte fu sul punto di mollare ma non lo fece mai. Nemmeno quando si scontrò duramente con le avversità che le si presentarono davanti.
Ci sono degli episodi che ho estrapolati e che hanno rappresentato momenti davvero duri per lei, in cui si evince una profonda solidità interiore.
I vari crocevia
Il primo è davvero rappresentativo: a un certo punto della traversata delle montagne, verso San Francisco, si rese conto che era arrivato l’inverno e che sarebbe stato impossibile per lei oltrepassarle in sella a una bicicletta come la Columbia. Era troppo pesante per essere maneggiata. Stava per tornarsene a Boston ma una Compagnia locale, la Sterling Cycle Works le offrì la Sterling, appunto. Questo modello non aveva che una marcia e non possedeva i freni ma era leggera e, soprattutto, era una bicicletta da uomo.
Fu così che la versione Mrs Londonderry con cui era partita ebbe degli stravolgimenti. Primo fra tutti il famoso abbigliamento.
Il secondo fatto avvenne appena mise piede in Francia dove, proprio per quegli abiti, ritenuti sconvenienti, le confiscarono la bicicletta e pure i soldi, con cui si stava finanziando il viaggio. Scrissero di lei delle vere e proprie mostruosità, tutti i giornali di stampa nazionale la titolarono nel peggiore dei modi. Ma riuscì a tirarsene fuori, rimontò in sella e partì di nuovo.
Il terzo inconveniente avvenne vicino Stockton dove fu trasportata d’emergenza in ospedale dopo essere stata travolta da un cavallo in corsa che trainava un carro. Per pochissimo non morì.
Il quarto in Iowa quando si ruppe un braccio e fu costretta a mettere un tutore per la restante parte del viaggio.
Contro di lei
Non mollò mai. Anzi, il suo tour, che comprese mete come la California Meridionale, il deserto dell’Arizona, New York, Chicago , Parigi, Gerusalemme, Singapore, e arrivò fino in Cina e in Giappone, fu intervallato da reading in luoghi d’eccellenza, lezioni sulla bicicletta, e reportage che una volta rientrata a Boston poté far conoscere.
La sua impresa durò meno dei quindici mesi previsti. E se da un lato, grazie all’affabilità della protagonista, maturò popolarità e lusinghe, dall’altro non mancarono i mal pensanti, coloro che mossero una vera e propria campagna di sesso per impedire che ciò che stava per avvenire non avvenisse.
Ma Annie Londonderry era andata molto più in là delle aspettative di tutti e aprì la strada, in un periodo in cui la bicicletta era nel suo boom di vendite, a una nuova visione di donna, in grado di poter sovvertire le rigide regole della società e chiedere di diritto la facoltà al voto.
Secondo le dichiarazioni di Annie non c’era nulla che una donna non potesse fare rispetto all’uomo, lei ne era stata l’esempio. Durante il viaggio era diventata “un giornalista” (un, non una), aveva cioè pedalato ma aveva anche collezionato dei veri e propri reportage mettendo a rischio la sua stessa vita. Inoltre, per proseguire il viaggio, a un certo punto, si era dovuta autofinanziare e lo aveva fatto nel modo più ingegnoso: iniziando a vendere gli spazi pubblicitari sulla bicicletta, a firmare cartoline col suo volto ritratto sopra e a convocare diverse conferenze.
Al ritorno era a tutti gli effetti “una nuova donna”
Mentre la bicicletta stravolgeva il clima socio-politico, le donne -sempre più ispirate da figure come Annie Londonderry- vi vedevano ormai un modo di essere, una opportunità di emergere dalla sottomissione.
Due anni dopo il suo traguardo a Boston (12 settembre 1895) vennero vendute più di due milioni di biciclette nei soli Stati Uniti, un numero che crebbe -poi- in tutti i paesi del mondo.
Purtroppo questa donna coraggiosa morì a settantasette anni, dimenticata da tutti. Fu un pronipote a ridare luce alla sua figura con un libro intitolato: Intorno al mondo sulla due-ruote, Annie Londonderry e la sua straordinaria corsa.
E da lì sono emersi vari riconoscimenti tra cui un documentario, premiato al Festival dei Film Indipendenti, e un necrologio che esce ogni anno sul New York Times nella sezione dedicata a celebrità, la cui morte è stata trascurata dall’editoria.
E poi grazie a Roberta Balestrucci Fancellu la storia è stata trasposta al mondo dell’infanzia attraverso proprio questo libro per bambini che aveva colpito la mia attenzione.
Questa frase, dello scrittore e fotografo Robert Penn, poteva essere benissimo un pensiero di Annie, o almeno così l’ho immaginato:
Nemmeno la bici, pronta a ingaggiare battaglia con tutti i venti non ancora nati, può aspettare. Si stringe un patto con una bici come questa: la cavalcherai e te ne prenderai cura fintantoché ti condurrà a un rifugio lontano dal presente.”
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.