La fotografia di viaggio è il viaggio stesso, ma quando incontro i paesaggi -perché se ne incontrano davvero tanti- mi muore tra le mani
Compagne di viaggio
Si fa presto a dire fotografia di viaggio. Ma per iniziare a fotografare bisogna partire. La meta più bella è non averne.
Non avere un albergo, men che mai già pagato, non avere un progetto vero e proprio. Bisogna avere in testa i luoghi. Io studio sempre prima di partire, ma non l’itinerario. È come avere una mappa pulita su cui fare le crocette, segnare le strade, i chilometri, la benzina. Una mappa da riportare a casa piena di orecchie, strappata, logora di mani.
Il mio viaggio a colori è esattamente così.
Con quella sensazione di aria, cielo, lunghi viali, ombre di alberi sotto cui riposare; pesci da spolpare, rocce appuntite sulle quale salire, notti -con la fragranza della musica e delle luci- che fanno compagnia al silenzio.
Mi piace imbracciare la macchina fotografica e narrare le emozioni che ho dentro. Così, quando sono in giro, vivo l’esperienza dei passi a trecentosessanta gradi, perché nell’otturatore tutto si amplifica.
Guardare in un quadretto
Ma, quando ho iniziato, facevo le foto-cartolina. Scattavo anche se soffiava il vento. Sì, il vento è invisibile. Lo so. Eppure c’è sempre qualcosa che si muove attraverso il vento. E la percezione mi portava a volerla vedere.
Mi limitavo a inseguire. E guardavo con gli occhi, non attraverso l’otturatore.
Fino a quando scoprii, improvvisamente, che in quel piccolo quadretto può cambiare tutto.
Ero sommersa di tanti scatti mediocri, tra tanti altri, e -quasi sempre- li detestavo tutti. Ma, alla fine, le foto detestabili permettono di avere a noia le foto detestabili e, allora, inizia la fotografia di viaggio.
Foto irripetibili
Adesso non studio troppo le inquadrature, mi vengono facili. E, cerco di non fare più fotografie allo stesso soggetto. Questo perché ho maturato delle scelte e so cosa mi piacerebbe rivedere a casa, davanti al computer.
Mi sono messa l’anima in pace: non riuscirò mai a scattare contemporaneamente a due scene uniche. O scelgo l’una o l’altra, e in un nano secondo. Per me fotografare non è fare una bella fotografia. La fotografia di viaggio, soprattutto, implica il ricordo. Per questo, in quel nano secondo, scelgo sempre la scena che mi somiglia di più, quella che mi fa battere il cuore, che sarà tra i miei ricordi di vita.
Non a caso nelle fotografie del cuore, che pubblico ogni tanto, non ci sono immagini straordinarie, ci sono immagini che mi ricordano qualcosa di specifico.
Fotografie di viaggio nella memoria
Ecco perché ho accettato il fatto che, mentre fotografo un soggetto, altri cento –anche più interessanti- mi passeranno vicino e io dovrò lasciarli passare. Però so che, quello che avrò scelto, mi rimarrà legato per sempre.
Quando, invece, lascio andare entrambe le scene, sono in quella fase zen che mi permette di rilassarmi. Gli vado dietro con lo sguardo, colgo un gesto, la luce particolare che si posa sul soggetto, la risata che gli vedo comparire sulle labbra, ma -pur essendo frammenti bellissimi- non li fermo. E non li perdo nemmeno. Restano dentro di me, nella memoria visiva, sono come fotografie solo che non potrò mai stamparle.
Grandi vedute, piccole vedute
Tra le fotografie di viaggio non mancano mai i paesaggi. Forse perché tendiamo a focalizzare il contesto.
I paesaggi! Sì, ma come fai a prenderti il paesaggio con una sola inquadratura, pensare di poter domare tanto fuoco, tanta acqua, tanta terra?
Non ce la fai, implodi ed esplodi contemporaneamente perché la bellezza è un elemento che rimbalza.
Devi inquadrare tante cose: laggiù quella casa rossa che raccoglie gli occhi, lassù quel cielo madido che fa stare col fiato sospeso; e poi ancora le montagne in quel filtro di lontananza che fa salire la nebbiolina, gli specchi d’acqua che fanno sembrare il mondo un posto puro.
Vorrei farlo, sempre. Racchiudere tutto questo. Tutto quello che vedo e che mi fa letteralmente impazzire. Vorrei riprodurre quei colori, sintetizzare l’emozione che mi hanno provocato, vorrei portarla a casa, mostrarla agli amici, raccontarne la grandezza.
Ma poi mi fermo. La verità è che si possono, sicuramente, trasferire alle persone le immagini ma non il pensiero legato a esse.
Così, davanti a un paesaggio che mi carica addosso tutta la sua gloria, io assisto. La mia mano, un giorno, davanti a una distesa immensa di paesaggi, è rimasta ferma.
Il dettaglio in un paesaggio
Esistono fotografi che hanno un talento innato per rendere giustizia ad un panorama, io -invece- vedo solo una forma, una rotondità, una profondità che non riesco a chiudere dentro un rettangolo. Non ci riesco, ho un limite mentale.
Se sfoglio le foto di paesaggio dei grandi maestri rimango ipnotizzata dal loro talento, mi commuovono.
Allora ogni tanto, mossa da una specie di coraggio, ci provo a prendermi il lusso di imbrigliare un paesaggio, ci provo, anche per non essere troppo rigida su questo concetto.
Tuttavia sono i dettagli la mia passione. Cercare in una piazza due mani che si intrecciano, lo sguardo innamorato di un uomo o di una donna, lo scorrere della vita in genere.
Le fotografie di viaggio sono dei contenuti che non hanno tempo, restano nei cassetti, oggi nella memoria dei computer, restano sospesi e poi quando si ha nostalgia si ripescano dall’album, per riassaporare quella felicità provata.
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Sospesa sul Ponte di Oporto. Portogallo
Cabo da Roca, più a Ovest d’Europa
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.