La prima scelta delle fotografie del libro “Dal Vento al Vento” ricadde su dei paesaggi mossi, effetto panning, poi se davvero volevo scavare avrei dovuto scavare me
Da dove ripartire
Le fotografie del libro “Dal Vento al Vento” non sono venute da sé, anzi, hanno tenuto in stand-by la pubblicazione delle poesie per un paio di anni. Facciamo qualche passo indietro.
Gli archivi fotografici, di chi ha sempre una macchina appesa al collo, sono come i cassetti di un armadio, traboccano a volte di tutto: colori, bianchi e neri, il bello, il brutto, il rubbish, i simboli nostalgici degli anni settanta, la grande bellezza, tanto per citare il titolo di un film eccezionale che rimanda al senso eclatante delle cose, della natura, del mondo.
Questi armadi hanno una loro precisa intimità e non si lasciano aprire da tutti. A volte nemmeno da chi li riempie.
Tuttavia, ho imparato che, tenere le immagini chiuse a chiave non ci dà la possibilità di essere in pace.
Interiorità a confronto
Il percorso di esplorazione è lungo ma è ciò che anima l’istinto e le paure. Peraltro, in questo caso, le immagini dovevano essere pensate per fare compagnia alle parole. Il che mette in piedi un impianto ambivalente che è ancora più difficile da affrontare.
Si fa fatica a scrivere e fotografare per condividere. Almeno io faccio fatica. Perché dentro le foto e dentro le poesie ci sono tessuti interiori che vengono “sviscerati”.
Tuttavia quando qualcosa emerge, così slegata dal nostro controllo, non sì può che assecondarne la direzione.
Bisogna liberarci di ciò che possediamo perché altri possano conoscerci. Rimaniamo troppo spesso isolati, dimenticando di non essere macchine. Noi siamo vivi. Abbiamo bisogno di vedere, di uscire, di cercare, verso il cielo, sulla terra, lungo il ciglio di una strada… nel vento… ciò che ci rende tali.
Me verso Me
Con molta onestà ho fatto una fatica immensa a corredare le poesie con le immagini che troverete all’interno. Sono io. Sono io più l’altra me. Sono io più il vento.
Le fotografie del libro “Dal Vento al Vento” sono un lavoro, un esperimento, anche un divertimento. Non mi piace stare davanti all’obiettivo, sembro sempre a disagio. In questo caso, come dire, mi sono raccontata che era una ricerca interiore. Che in realtà è vero ma sempre davanti alla macchina fotografica mi sono dovuta mettere. E mi sono divertita a guardarmi.
Perciò faccio questa premessa: le fotografie del libro “Dal Vento al Vento” non sono selfie.
Vedetele come autoritratti. Sono io mossa da un vento astratto, senza postproduzione selvaggia, senza sovrapposizioni, l’unico ritocco che ho fatto è stato renderle quasi dei disegni.
Il lavoro di ripresa è avvenuto tutto in un angolo di casa, con le finestre chiuse, uno spiraglio -appena- di luce che filtrava. I tempi della macchina fotografica posizionati sui trenta secondi di apertura. Dentro questo tempo ho assunto due o tre posizioni diverse in modo da sembrare allo specchio ma con espressioni diverse.
Le fotografie dal Vento al Vento sono roba vecchia
Per caso -dopo qualche tempo che avevo realizzato questi provini- mi imbatto nel lavoro di una fotografa del surrealismo, Claude Cahun. Stavo scrivendo un articolo su di lei e scopro, facendo delle ricerche, che i miei scatti erano roba vecchia. Immaginate il mio sorriso.
Tra l’altro una fotografa distante anni luce da me. Un percorso di vita agli antipodi.
Ecco, il non aver fatto nulla di originale non mi deluse più di tanto. Non mi fece perdere fiducia nel progetto che avevo in testa. Anzi. Il pensiero che abbiamo maturato entrambe di vederci come in uno specchio ci ha in qualche modo avvicinate. Che è la cosa migliore che mi sia capitata da quando scatto. Di sentirmi uguale a un’altra persona. Noi ci sentiamo sempre così diversi dagli altri. Ma non lo so mica se è vero. Ci piace pensarlo per essere speciali, credo.
Siamo in ballo
Io mi sono sentita meglio dopo aver visto nel lavoro della Cahun un’analogia di idea, di pensiero, di storia. E in epoche diverse. Lei mi ha dato quel coraggio che mi mancava.
È stato solo in quel momento, quando ho visto le sue fotografie, che ho saputo che avrei pubblicato le mie a corredo delle poesie. Solo allora.
Le mie scelte erano ricadute, fino a qualche tempo prima, su dei paesaggi, così tristemente lontani dal racconto poetico. Dei muri che bloccavano l’aria. Avevo scavato fino a un certo punto e poi mi ero fermata, con la terra in mano.
Alla fine, è arrivata la Cahun e il mio blocco emotivo si è scardinato da solo.
La fotografia per me è come il sesto dei nostri sensi, in qualche modo racchiude tutti gli altri, e è terapeutica, è amica, è una materia che consiglio a chiunque. Non per fare belle foto ma per conoscere, di noi stessi, ciò che non sappiamo, per vedere ciò che ci limitiamo a guardare.
PUOI LEGGERE Le poesie del libro “Dal Vento al Vento” PER APPROFONDIRE DI COSA TRATTA IL LIBRO
OPPURE LEGGI QUALCOSA SU Emanuela Gizzi O SU Fotografa PER AVERE INFORMAZIONI SULL’AUTRICE
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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.