Home VIAGGIO A REGOLA D'ARTE Il Parasole di Goya e il Buona Ventura di Caravaggio: opere a confronto

Il Parasole di Goya e il Buona Ventura di Caravaggio: opere a confronto

La Sala Santa Petronilla, dei Musei Capitolini di Roma, ospita il Parasole di Goya e lo propone di fianco al Buona Ventura di Caravaggio svelando similitudini

di Emanuela Gizzi
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Il Parasole e il Buona Ventura sono a prima vista due quadri diversissimi tra loro, per utilizzo dei colori, della luce, e perché le narrazioni dipinte appaiono distanti l’una dall’altra.
Tra il Parasole di Goya e il Buona Ventura di Caravaggio ci sono 184 anni di differenza, il primo è del 1777, il secondo del 1593-1594, quindi anche il linguaggio pittorico non può essere lo stesso.
Inoltre, da una parte il committente è il Re Carlo III di Spagna, dall’altra, è il Cardinale Francesco Maria Del Monte, il che spiegherebbe perché l’uno raffigura una scena frivola, l’altro invece nasconderebbe una chiave di lettura morale.
Il Parasole avrebbe dovuto far parte di una collezione di 10 arazzi per il Palazzo del Pardo di Madrid, il Buona Ventura per il Palazzo Madama di Roma.
Sembrerebbe che i due quadri non abbiano nulla da dirsi, eppure, qualcosa  in comune -evidentemente- ce l’hanno, perché i Musei Capitolini -approfittando della proficua collaborazione con il Museo del Prado di Madrid– hanno prestato volentieri “L’Anima Beata” di Guido Reni, in cambio del “Goya”. 

E allora avviciniamoci: il Parasole e il Buona Ventura
posti l’uno di fianco all’altro

Nella Sala Petronilla occupano insieme una parete e quando ci si avvicina la prima cosa che si nota sono le differenze più che la vicinanza artistica.

Analisi del Parasole

Il Parasole di Goya mette in scena una liaison amorosa priva di erotismo ma anche priva di elementi legati alla caccia, tanto in voga durante il Settecento.
Ci si accorge subito che -nonostante la tela fosse destinata ai reali- non raffiguri affatto due giovani di corte, bensì una maja e un majo, gente -dunque- del popolo. E il paesaggio alle loro spalle, purché accennato, basta perché vi si possa distinguere una campagna e non un giardino di Palazzo.
Goya, esce dunque dagli schemi con leggerezza e, per aumentare questo stato di grazia, fa un uso personale della luce, attinge cioè da quella naturale, la diffonde nel quadro, la rende aura.
La luminosità prodotta fissa i volti a tal punto da congelarli e far emergere un moto di inquietudine. Questa, sale lieve, ma viene rafforzata sia dall’alberello alle spalle -i cui rami ricurvi lasciano percepire una folata di vento-, sia da alcune nuvole in fondo, che paiono minacciare tempesta. 

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Gli elementi simbolici del Parasole di Goya

L’amore, dunque, viene disturbato da questo secondo racconto che ci appare come  l’attimo prima di un evento imminente, tedioso, quasi un presagio.
A questo, si somma -di contro- il gesto semplice del majo che solleva il parasole, un elemento talmente determinante da rubare la scena ai protagonisti e diventare il titolo dell’opera; e, della maja che sfodera il ventaglio, un vezzo femminile esibito con destrezza tanto da non risultare un’ostentazione puerile.
Il cagnolino in grembo alla maja, oltre ad essere simpatico, ha una doppia valenza: sia simbolica in quanto rappresenta la fedeltà, che tecnica perché riequilibra la luce. 

Goya apre le porte al Romanticismo

C’è sicuramente l’influenza del Tiepolo e della pittura veneziana nelle note di questo primo Goya, lo si riconosce in quel bianco di piombo utilizzato per illuminare fortemente la scena. Ma si discosta dal Vedutismo, che rendeva il paesaggio protagonista. Fa sparire le raffigurazioni celebrative e monumentali, le allegorie, il carattere mitologico, e lascia che si faccia strada una scena più reale, attinente con la quotidianità.
Goya, poi, ci sorprende con la scelta cromatica: i colori delle vesti sono brillanti, e puri, cioè sono stati applicati dall’artista direttamente sulla tela, senza una lavorazione alcuna in tavolozza, quindi senza compromessi né inganni.
In questo senso, e per come organizza la scena, nulla ci vieta di pensare che possa essere stato influenzato dal Buona Ventura di Caravaggio, già esposto presso la Galleria in Campidoglio, quando egli frequentava la Scuola del Nudo.
Goya, per le sue qualità e il suo sguardo innovativo, anticipò il Romanticismo e l’Arte Contemporanea.

Analisi del Buona Ventura

I “Caravaggio” sono opere sempre riconoscibili, la mano dell’artista è come una mente coerente e, anche qui, seppure è una delle prime opere -e quindi non assistiamo ancora a quei tagli di luce potenti e ai contrasti vigorosi- c’è già una spiccata personalità.
Il Buona Ventura di Caravaggio racconta un frangente di vita, un momento fatale, quello tra un giovane distinto, sicuro di sé, che esibisce con garbo la mano, e la zingara che, con il pretesto di leggergliela, gli sfila l’anello che porta al dito.
L’aria civettuola della zingara e l’atteggiamento cavalleresco, e lusingato, del giovane traggono in inganno: non è una storia romantica pur essendoci un gioco di sguardi amorosi e le mani che si toccano intime.
I colori di Caravaggio li conosciamo, anche se qui siamo ancora in quello che è stato definito il “periodo chiaro” dell’artista, quando cioè il chiaroscuro non era ancora così predominante nelle sue pennellate. 

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Caravaggio apre le porte al Modernismo

Tutti i dettagli sono a fuoco: le pieghe degli abiti, il velluto, la piuma, le mani, vibrano come se fosse una scena teatrale e non il vicolo di una strada.
Ma ciò che poi ci trascina su un marciapiede sono i soggetti ritratti: persone vere rubate alla vita vera. Talmente reali da creare una rottura potente con il periodo storico di riferimento di Caravaggio, il Manierismo e il Classicismo.
Caravaggio sarà il ponte per il Modernismo, influenzerà tutta l’arte Barocca e -dopo la sua morte- il Caravaggismo segnerà un punto di non ritorno perché aprirà le porte a un’arte tutta sua, riscoperta peraltro solo nel XX secolo.

Gli elementi che smascherano la “morale” del Buona Ventura

Dietro le graziose movenze della zingara è celato uno scopo ben diverso da quello che a un primo sguardo si evince, per questo il titolo Buona Ventura, perché la riflessione, o morale -visto che la committenza era ecclesiastica-, vuole mettere in guardia dal fidarsi troppo da chi si propone con promesse lusinghiere.
Rispetto al Parasole, dove si preannuncia un evento funesto, quì, l’evento accade senza quasi che ce ne rendiamo conto.
In effetti, dell’anello si ha riscontro solo dalle radiografie effettuate postume sulla tela.

Il confronto-incontro tra Goya e Caravaggio

Ecco dunque che prende vita una naturale sinergia tra le due opere, una schietta somiglianza: entrambi gli artisti hanno spalancato le porte all’innovazione pittorica, non riuscendo proprio a sottostare alle manie, mode e regole dei rispettivi tempi storici. Hanno trovato una loro caratura e una più intima e più realistica visione del mondo. Hanno anche, e soprattutto, interpretato quel loro tempo in maniera rivoluzionaria e con un linguaggio personale, nuovo, efficace.
Erano entrambi giovani quando hanno dipinto Il Parasole e Buona Ventura, e forse anche per questo gli è stato facile ordire una trama amorosa tanto leggera, se pure con dinamiche molto diverse. Il primo è un amore romantico, il secondo un amore bugiardo.

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Il Parasole e il Buona Ventura hanno attraversato la storia

I due pittori hanno vissuto entrambi la tragicità di un esilio.
Caravaggio dopo essere stato accusato dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, un uomo di malaffare; Goya nel bel mezzo della Guerra di Indipendenza Spagnola.
Il primo fuggì da Roma e non vi fece mai più ritorno, il secondo si rifugiò prima nella casa chiamata Quinta del Sordo, e poi a Bordeaux.
I quadri invece ebbero un finale meno tragico dei loro autori. Il Buona Ventura, quando il Cardinale Francesco Maria Del Monte morì, venne venduto dagli eredi al Cardinale Carlo Pio di Savoia.
Un pezzo unico che, però, dovette cedere -insieme ad altri 126 dipinti- allorché decise di chiedere lo spostamento dell’intera collezione in territorio spagnolo. Fu Papa Benedetto XIV Lambertini -venuto a conoscenza di tale patrimonio- a concedere al Cardinale il nulla osta, ma garantendosi il cospicuo lascito che divenne parte della Pinacoteca Capitolina.
Il Parasole, invece, ha una storia meno travagliata: dal Palazzo del Pardo fu trasferito al Palazzo Reale di Madrid e infine fu acquisito dalle Collezioni del Museo del Prado.

Il Parasole di Goya e il Buona Ventura di Caravaggio a confronto con l’ultima opera

Per aggiungere una più profonda lettura di questi due quadri, e anche per renderci conto dell’effettiva potenza del linguaggio sia di Goya che di Caravaggio, facciamo un salto temporale e confrontiamoli con l’ultima opera di entrambi.

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Parasole versus Pitture Nere

Goya, era in esilio presso la casa Quinta del Sordo, in uno status di semi sordità, quando dipinse una serie di 14 affreschi, direttamente a parete: le famose “Pitture Nere”.
Nell’osservare il Parasole, la cui aria cristallina ci porta a viaggiare con la fantasia, viene quasi di dubitare che sia la stessa mano ad averli dipinti.
da-pitture-nere-uno-dei-dipinti-murari-di-goya-dell-ultimo-periodo-ultimo-quadro-raffigurante-una-donna-oscura-molto-lontana-dal-parasoleLe scene raccapriccianti, cupe, violente, acide, senza freni inibitori sono vomitate sulle pareti quasi come demoni liberati dall’oltretomba.
I suoi mostri, forse, o una forte disanima della guerra

Quel misterioso elemento che lega il Parasole alle Pitture Nere

Uno stato profondo, un abisso che -proprio perché privato, cioè senza committenze- emerge chiaro, deciso, non teme giudizi, non ha bisogno di averne.
Tra il Parasole e questi 14 dipinti murari ci sono 42 anni di distanza: quel lieve moto cupo che si era affacciato negli occhi della bella maja, qui esplode in tutta la sua “criminale” potenza espressiva diventando, quasi, l’evento funesto preannunciato allora.
Fu il banchiere franco-tedesco, Émile Baron d’Erlanger, cinquant’anni dopo, ad acquistare la casa dal nipote di Goya e a far trasferire tutti i dipinti su tela.
Dal 1881 le Pitture Nere sono esposte, così come il Parasole, nelle sale del Museo del Prado.

Buona Ventura versus Il Martirio di Santa Orsola

L’ultima opera di Caravaggio, anche, sorprende per la grande escalation cromatica che arriva a toccare punte di nero abissali.
Si tratta del Martirio di Santa Orsola, un quadro che pure raffigura un momento tragico, quando cioè il dardo viene trafitto nel ventre della santa da un Attila furioso per essere stato rifiutato.
Caravaggio rimane fedele alla sua sregolatezza, non c’è alcuna traccia di religiosità, di icone sante, ma un realismo terreno, puntuale, che ci trascina tutti in quel ventre, in quel gesto inaudito di prevaricazione.
Tant’è che, lo stesso Attila non ha furia negli occhi, non è più il capo di un popolo ma un uomo che ha commesso un reato tremendo. Lo sguardo stupito fa trapelare un qualche rimorso e la luce caravaggesca lo coglie, evidenziandolo. 

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La luce fa tutto in questa scena, si poggia anche sull’autoritratto di Caravaggio, alle spalle della santa che ne diventa testimone, quasi a voler contrastare il male, i carnefici, la violenza. E, addirittura, una mano spunta tra l’arco di Attila, la freccia scagliata e Santa Orsola, come se lui stesso, o qualcun altro, volessero fermare il martirio.
La santa viene trafitta, però, e magistralmente, non c’è espressione di dolore in lei, solo una pacata resa e una pelle cinerea che segna il passaggio dalla vita alla morte.
Il resto è avvolto in una tenebra, per metà terrena, per metà spirituale, che enfatizza il dramma che si sta consumando.
Sicuramente, meno violento delle Pitture Nere di Goya, ma anche il Martirio di Santa Orsola affonda nei meandri della coscienza umana. La luce non è espansa come nel Buona Ventura ma filtrata, e quei filtri, quegli “aghi affilati e spregiudicati”, catturano l’essenziale.
Corrono 16 anni dal Buona Ventura al Martirio di Santa Orsola.
Caravaggio non visse quanto Goya, morì a soli 38 anni, non ebbe il tempo dell’altro per sconvolgere totalmente la propria esperienza artistica. Ma, anche quel poco di vita, gli bastò per arrivare a livelli altissimi di arte estrema.

♣♣♣

Considerazione sulla mostra

Trovandosi davanti al Parasole e al Buona Ventura non viene in automatico recepire i messaggi che portano, le loro differenze e i campi -invece- su cui si sposano.
Di certo, ai Musei Capitolini avrebbero dovuto fare un lavoro di scrittura per rendere comprensibili le motivazioni che li vedono uno di fianco all’altro.
Ma, detto ciò, non perdere questo confronto-incontro in esposizione fino al 25 Febbraio 2024.

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e sveglia il Drago

Emanuela Gizzi Fotografa ideatrice di Mapping Lucia

Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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